Il male che si deve raccontare
per cancellare la violenza domestica
di Simonetta
Agnello Hornby
con Marina Calloni
con Marina Calloni
Feltrinelli, 2013
L’avevamo lasciata poco più di un mese fa a Londra, quando aveva
presentato Il veleno dell’Oleandro all’Italian Bookshop e già ci aveva anticipato che presto ci sarebbe stata un’altra importante
uscita: infatti dal 9 maggio Simonetta Agnello Hornby è di nuovo nelle librerie
con Il male che si deve raccontare per
cancellare la violenza domestica. È un libro di denuncia, un lungo saggio in cui alla narrazione di esperienze
vissute in prima persona dalla Agnello Hornby, si affiancano le pagine ricche
di dati di Marina Calloni, professoressa di Filosofia politica e sociale all’Università
di Milano-Bicocca. Il tema è quello attualissimo della violenza domestica, un argomento
quasi quotidianamente in prima pagina in Italia in questi ultimi mesi oscurati
da molti femminicidi ed oggetto di numerosi racconti e trattazioni negli ultimi
anni (Ferite a morte di Serena
Dandini, l’inchiesta Questo non è amore
pubblicata da Marsilio o l'antologia Nessuna più, solo per citarne alcuni usciti nel 2013).
Le autrici sono due donne impegnate in prima linea nella lotta alla
violenza domestica: Simonetta Agnello Hornby svolge la professione di avvocato
a Londra da quarant’anni e nel corso della sua carriera ha difeso donne,
minori, immigrati e disabili. Marina Calloni è membro del Comitato
interministeriale dei Diritti umani presso il ministero degli Affari esteri ed è
una delle fondatrici del movimento Se non
ora quando?
Insieme le due autrici riescono nel difficile compito di scrivere e
descrivere casi di abusi e violenze con la professionale lucidità di chi conosce
bene questi drammi così delicati, senza mai scadere in retoriche di nessun
tipo. La loro esperienza sul campo le porta ad analizzare sempre con grande
realismo e praticità i casi di cui parlano, casi in cui spesso la frustrazione provata da chi si impegna ad aiutare è tanta. Purtroppo si può anche
perdere:
La donna vittima di violenza è spesso isolata e ha bisogno non solo di essere aiutata, ma anche di essere aiutata in un certo modo: con lei non bisogna essere giudicanti, né pietistici; da lei non bisogna aspettarsi un cambiamento totale e repentino.
La consueta abilità narrativa della Agnello Hornby ci fa conoscere le
storie di donne siciliane, irlandesi e colombiane, cattoliche e islamiche, ci
porta per mano all’interno delle loro case e ci mostra nei dettagli la mano violenta
e spesso assassina di compagni, mariti e padri. Le parole di Marina Calloni
arrivano dopo molte pagine di rabbia, e vengono in soccorso al lettore per
chiarirgli le idee, fornirgli il rigore scientifico dei numeri, dire come si
potrebbe risolvere il problema.
Il frutto del loro lavoro mira non solo ad informare, ma anche ad
educare: non c’è solo la denuncia, infatti, ma una proposta concreta che il
libro attua in due modi. In primo luogo diffondendo l’operato del metodo di
Patricia Scotland, fondatrice della Global Foundation for the Elimination of
Domestic Violence e della Corporate Alliance Against Domestic Violence, che da
ministra del governo laburista ha messo in atto un sistema che ha diminuito
drasticamente la violenza domestica e il numero degli omicidi in Inghilterra.
Questo è stato possibile grazie alla corretta identificazione di uno dei
principali problemi da gestire nei casi di violenza domestica, quello
economico. Quando una vittima ha il coraggio di denunciare le umiliazioni
subite non è raro che poi torni dal suo carnefice, e questo accade perché nella
maggior parte dei casi dipende da lui economicamente. Il metodo della Scotland,
invece, assicura una protezione immediata alla vittima di violenza domestica,
grazie all’importante figura dell’IDVA (Independent Domestic Violence Advisor):
un consulente che aiuta la vittima nell’immediato, fornendole il denaro
necessario prima dell’udienza, organizzando le attività quotidiane - ad esempio
andare a prendere i figli a scuola - e facendo da tramite con diversi enti (sociali,
religiosi, istituzionali, ecc…). Il metodo della Scotland ha avuto un successo
incredibile in Inghilterra: i casi di omicidi di donne sono scesi dai 49 del
2003 ai 5 del 2010. Questo metodo è uno strumento che non dovrebbe passare inosservato
agli occhi di governi e associazioni: ha funzionato bene in Inghilterra,
l’esperienza può e deve essere ripetuta.
La seconda proposta concreta che si prefigge il libro riguarda proprio
il suo acquisto: il ricavato delle vendite, infatti, non andrà alle autrici e
all’editore Feltrinelli, ma sarà
devoluto al finanziamento di una filiale
italiana di Eliminate Domestic Violence, che è stata inaugurata lo scorso 31
maggio all’Università Bicocca di Milano alla presenza di Lady Patricia
Scotland. Anche per questo motivo Il male
che si deve raccontare è un libro da andare a comprare in libreria. Sia per
aiutare concretamente il progetto dell’Agnello Hornby, sia per informarsi.
"Perché dovrei chiamarti ogni sera? Non l’ho mai fatto in vita mia!” dice Marina Calloni a suo padre. Risposta: "Perché uccidono le donne”. In Italia quante donne sono state uccise o ferite solo negli ultimi mesi? Accoltellate e poi bruciate ancora vive, obbligate a versarsi dell’acido sul proprio corpo. E c’è chi ancora dice che non ha senso parlare di femminicidio (vecchia querelle che ricorda il dibattito su chi si considera o è da considerare “femminista”). Il senso del gridare al femminicidio non è dato dalla presunta minore importanza della morte di un uomo rispetto a quella di una donna, questi sono ragionamenti da quattro soldi che non dovrebbero più abbindolare nessuno. Nessuno che abbia una coscienza di genere. Perché quando ad essere violentata e ammazzata è una donna, allora quel crimine è connotato sessualmente. La donna viene umiliata perché – fisicamente – il suo corpo è fatto per essere posseduto ed è facilmente dominabile “per natura”, così pensa il carnefice che considera la donna una sua proprietà. Non più corpo che accoglie, ma carne da occupare e marcare con la forza.
E sì, è vero che ci sono anche casi di vittime uomini (nel libro se ne
parla), e il fatto che siano numericamente inferiori rispetto a quelli di donne
non deve assolutamente sminuire la loro gravità. Ma i femminicidi sono il
triste e pericoloso retaggio di una tradizione patriarcale che considera la
donna come inferiore e che spesso è solo superficialmente smentita dalla
società moderna. Come sempre la soluzione è rappresentata dalla vera
informazione, dalla divulgazione di una cultura di genere che miri ad educare i
cittadini e le cittadine a riconoscere le umiliazioni – anche quelle verbali,
quelle che plagiano al volere altrui e non lasciano lividi come prova. Un
cammino lungo quello della consapevolezza di genere che dobbiamo fare come
regalo a noi stessi, un impegno da intraprendere quello di raccontare il male
che si nasconde nei corpi e nelle case.
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