di Valerio Monti
Lettere Animate, 2013
pp. 115
Una montagna di libri da leggere avidamente in
una sorta di frenetica lotta ingaggiata contro un tempo, che è mera percezione
interiore del proprio distacco da quell'interagire quotidiano con i propri
simili e con ciò a cui siamo soliti attribuire l'appellativo di
"realtà", non sempre idilliaca, a onor del vero, ma che ci avvolge in
quel senso di appartenenza tale da farci sentire per certi
versi vivi e presenti in questo mondo. Un senso di appartenenza che pare
essersi dissolto da tempo immemorabile dal cuore e dalla mente dell'unico
protagonista di questo racconto. Non ci è dato conoscere il suo nome, forse per
meglio sottolineare questa "perdita di identità" o meglio di
identificazione con una dimensione scaturita da connotazioni perlopiù di
stampo materiale che presuppongono il superamento di alcune tappe destinate a
sancire quel senso di appartenenza (studi, carriera, famiglia e quant'altro,
purché all'insegna di un tessuto esistenziale brillante,
possibilmente senza incidenti di percorso), tipiche soprattutto di certe
società che traggono linfa vitale dal culto dell'apparire e della perfezione ad
ogni costo.
Un lucido distacco dalla materialità conduce
pressoché giocoforza a un viaggio introspettivo spesso senza ritorno e irto di
insidie a tratti difficili da evitare, specie se nessuno ci accompagna in
questo tragitto compiuto fra le mura di una casa immersa dentro un silenzio
infranto solo dal ticchettio degli orologi, dai tasti della macchina da
scrivere su cui l'uomo digita convulsamente pensieri e riflessioni, e
dalla televisione che accende solo al mattino, giusto il tempo di seguire un
notiziario, unico legame che gli è rimasto con quella dimensione da cui si
tiene a debita distanza. Il telegiornale del mattino, con il suo
florilegio di notizie tristi e inquietanti, gli appare più tollerabile rispetto
al notiziario della sera, quasi fosse una sorta di metafora dell'animo umano
che, dopo essersi purificato delle sue nefandezze durante il riposo notturno,
ritrova una parvenza di bonomia comunque destinata a sporcarsi nuovamente con
il trascorrere delle ore, fino a farsi insostenibile dopo il calar del sole.
Bastano questi pensieri per spingerlo a trovare
conforto fra le mura di quella casa, malgrado la polvere e la sporcizia che si
sono accumulate in lunghi anni di reclusione, malgrado la luce del sole che
filtra a stento tra le fessure delle imposte perennemente chiuse, malgrado il
telefono che ormai ha praticamente smesso di squillare. Nessuno gli scrive, ad
eccezione di un suo cugino che gli invia un biglietto di auguri ogni cinque
anni. Non deve neppure incomodarsi ad uscire per fare la spesa: a questo
ingrato compito provvede un ragazzo che gli recapita acqua e cibo a domicilio.
Questo esilio volutamente cercato ha avuto inizio
quando, diciottenne, è rimasto vittima di ciò che egli ha definito
un "incidente"; in realtà si è trattato di un'aggressione subita
mentre si apprestava a rincasare nel cuore della notte, al termine di una festa
in cui si era peraltro sentito un pesce fuor d'acqua.
Da allora, non è più uscito di
casa, scegliendo di farsi accudire dalla madre.
E' tuttavia probabile che la morte del padre,
avvenuta quando il protagonista di questa vicenda aveva solo cinque anni, abbia
scavato un solco nella percezione del suo primordiale senso di appartenenza. A
dispetto dei ricordi sfocati della figura paterna, egli è cresciuto con la
recondita convinzione (peraltro alimentata dai racconti della madre) di
doversi misurare con un genitore che incarnava un prototipo
"vincente" verso il quale non si sentiva all'altezza. A poco
servirebbe pensare che questo vastissimo campionario di qualità eccezionali
potrebbe essere stato perlopiù plasmato dall'inconscio desiderio (in questo
caso della madre) di sublimare altri difetti un po' meno edificanti di colui che
è stato rispettivamente marito e padre. In fondo, neppure a lui - benché
all'epoca avesse solo cinque anni - era sfuggita una certa freddezza
manifestata dalla donna in occasione del funerale, ma non solo. Dunque, in
fondo al cuore, anche lui ha sempre saputo che questo padre non era forse così
perfetto e inarrivabile. Purtroppo, la sua prematura scomparsa gli ha impedito
di appurarlo direttamente, e di fare tabula rasa (anche solo in
parte) di quelle insidiose idealizzazioni troppo pesanti da reggere per un'indole
sensibile come la sua. Non è un caso che le qualità "vincenti" del
padre (intelligenza, cultura, sagacia, bellezza, determinazione, ecc.)
risultano sovente speculari a quelle del mondo esterno da cui ha deciso di
fuggire.
Forse, in un estremo tentativo di riscattarsi
agli occhi di quel padre inarrivabile, ha deciso di cimentarsi nella lettura
dei suoi libri, sforzandosi di comprendere anche quelli più ostici e/o quelli
scritti in altre lingue a lui sconosciute (come il portoghese e il tedesco).
Oltre all'assenza di nomi (non conosciamo il nome
del protagonista, né quelli dei suoi genitori e dei personaggi che appaiono
fuggevolmente nel tessuto narrativo della vicenda), mancano dei riferimenti
cronologici ben precisi, peraltro inutili all'interno di una dimensione
introspettiva che annulla ogni barriera spazio-temporale). La presenza costante
di una vecchia macchina da scrivere meccanica di cui il protagonista,
giunto ormai alla soglia dei quarant'anni, si serve per immortalare la sua
vicenda, potrebbe indurci a ipotizzare un'ambientazione
cronologica risalente a qualche decennio fa, salvo poi ricrederci dinanzi
all'evocazione dei CD musicali (a loro volta presenti fra le mura domestiche).
A occhio e croce, dovremmo essere perlomeno negli anni Novanta del secolo
scorso. Nessun accenno a computer, Internet e alle nuove tecnologie. Verso la
fine del racconto, quando l'uomo si sofferma brevemente sulla morte della
madre, travolta da un camion, mentre attraversava la strada in una fredda
giornata invernale poco dopo la fine delle olimpiadi invernali ospitate nella
loro città, intuiamo che il drammatico evento risale infatti al 1992 e che l'intera
vicenda si è svolta a Barcellona.
Dopo la scomparsa della madre (non ha partecipato
neppure al suo funerale, poiché temeva di non reggere l'impatto con la realtà
esterna, dalla quale si era già eclissato da diversi anni), il distacco dalla
dimensione materiale e il relativo decadimento fisico e mentale - seppur in una
sorta di lucida volontà di trovare una risposta a tante questioni irrisolte,
attraverso un dialogo interiore con i suoi defunti genitori - subisce
un'ulteriore impennata.
La visita di un suo vecchio amico di gioventù,
anch'egli segnato da varie vicissitudini esistenziali, e che si toglierà la
vita a distanza di qualche tempo, lo farà sprofondare ulteriormente nel baratro
dell'alienazione, in quanto specchio fedele del suo stesso fallimento
esistenziale.
A questo punto, si aggrapperà con maggior
vigore alla scrittura, in un estremo tentativo di sopravvivenza attraverso
la fuga da un mondo che gli ha sempre suscitato inquietudine. Come egli
stesso scrive: "Io rifuggo sia dagli esseri umani che dallo spazio
infinito che ci circonda e ci umilia, rivelandoci in tutta la nostra misera ed
effimera esistenza. Noi non siamo che granelli di polvere la cui presenza è
nulla, solo una nuvola alzata dall'umanità intera. Eppure io non faccio parte
neanche di ciò. Io sono solo ciò che scrivo, parole nelle parole. Forse è per
questo che scrivo. Per provare almeno a me stesso che qualcosa sono. La
scrittura come mezzo di esistenza, non tanto per creare qualcuno o
qualcos'altro, ma per creare se stessi attraverso le proprie parole."
Un mattino di aprile, contemplando i numerosi
fogli dattiloscritti, viene repentinamente colto da una strana frenesia.
Digita due parole, seguite da un punto interrogativo: Io esisto?
Dopo un'ultima esitazione, apre la porta e scende
di corsa le scale per provare ad affrontare quel mondo dal quale è
sempre fuggito.
A volte non si riesce a cogliere lo strazio che
affligge queste persone, poiché si celano al nostro sguardo attraverso un
isolamento voluto e/o una sapiente dissimulazione del loro vero stato
d'animo, terrorizzate all'idea di essere giudicate o rifiutate, e di non
reggere questo ulteriore carico di sofferenza.
Un racconto doloroso ma che trasuda poesia, come
un raggio di luce che vorrebbe far breccia nelle menti accecate dallo spietato
cinismo del nostro tempo.
Cristina Luisa Coronelli
Cristina Luisa Coronelli
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