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#CriticaLibera - Quanto fidarci dei diari che leggiamo?

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Foto dalla scrivania di GMGhioni
[APPUNTI SEMISERI]

Quando apriamo il diario di uno scrittore, noi lettori siamo sempre un po' voyeur e speriamo che tra quelle paginette private (ma lo sono davvero?) si annidi qualche segreto sull'autore e la sua opera. Se qualcosa di piccante, beh, tanto meglio. In realtà, del diario non bisogna mai fidarsi: lo abbiamo visto, quando si pubblica in vita, la spontaneità sparisce. Ma cosa succede quando i diari escono postumi?

Per fortuna, da qualche anno anche i diari stanno recuperando una loro dignità filologica, perché per anni sono successe cose tremende, e ogni buon lettore vorrebbe (e potrebbe/dovrebbe) gridare vendetta. Potremo parlare dei disastri delle prime edizioni dei diari di Flaiano (per fortuna è arrivata Maria Corti!), o delle false informazioni su taccuini/fogli separati come nel caso di Campana, o della libertà con cui i curatori hanno fatto un comodo "taglia e cuci" per preparare antologie (o massimari?) per palati poco fini, come quel povero Sanminiatelli che è stato ritagliato continuamente per la raccolta Pagine di diario (e ci sarebbero tante cose da dire su queste operazioni di risparmio di pagine per volontà degli editori... o degli sponsor, come nel caso di banche o simili, perlopiù poco interessati a offrire un testo corretto, ma a fare bella figura con una copertina gigiona...).


Ma veniamo a un argomento delicatissimo come l'erotismo, che è stato trattato in maniere opposte.
Non tutti hanno avuto la fortuna di Gide, di pubblicare in vita, eliminare dai Journaux i passi sull'amata e recuperandoli solo in un secondo momento nella raccolta amorosa Et nunc manet in te (1947), scegliendo lui cosa mettere e cosa evitare. E neanche la sfrontatezza di Santi, che pubblica le sue avventurette erotiche con giovani di passaggio in tempi bacchettoni. O Bianciardi, che si diverte a tratteggiare le sue altere compagne di corso con la goliardia tipica dell'universitario.

Quando il diarista muore e non brucia i diari (o, peggio ancora, li dona), non sa cosa lo aspetta. Ad esempio, il diarista più longevo che abbiamo forse in Italia, Prezzolini, ha scritto diari per oltre ottant'anni, e quando ha deciso di darli in stampa, non ha certo tolto alcuni particolari della sua vita intima piuttosto divertenti, come le sue scappatelle con giovanissime studentesse o i primi problemi a fare l'amore fuori dal letto (ed era ultrasettantenne!). Insomma, era un diarista che lavorava "al contrario", ovvero non si nascondeva al lettore ma si raccontava. Bene, quando Prezzolini è morto nel 1982, restava l'ultimo diario in via di pubblicazione per Rusconi; la curatela è passata al figlio Giuliano, che ha rispettato il titolo voluto dal papà ma... guarda caso, cadono tanti frammenti (che non segnala) per ragioni incerte (sono stati scartati brani molto privati [quando Prezzolini non ha mai sottratto episodi personali della sua vita] e «di minore interesse», per salvaguardare e riproporre quelli che mostrano «messi a nudo senza indulgenze dall’autore, il pensiero e il carattere dell’uomo»). Insomma, stando a quanto è pubblicato, dal 1968 Prezzolini non ha più scritto di sesso nel suo diario, neanche per un pensieruccio veniale. Ci crediamo?


Per non parlare della Pozzi che, poverina, lascia i diari nelle mani del curatore di famiglia, il padre. Vi dico solo che addirittura scrive lui il titolo sulla copertina del quaderno. Una stupidata? Provate a dirlo a un diarista, che è legato intimamente (scusate il rimando così da journal) al supporto materiale da un amore feticistico... Figuratevi i passi d'amore: ci saranno nel diario? {risposta retorica}

E a volte succede la cosa contraria: mettiamo il caso che sono Slataper e dico al mio caro amico Stuparich che sto tenendo vari diari, alcuni per me, altri per amici e fidanzate. Poi muoio - ecco, meglio spostare il pronome dall'io e allontanarlo un po' - poi muore, e i diari vengono tutti curati da Stuparich, che non solo adotta i suoi criteri di selezione, ma si diverte proprio a raccontare delle scappatelle di Slataper con prostitute, altro sesso a pagamento e di vari episodi di autoerotismo. Bell'amico... {caso di rara, rarissima e superiore fedeltà alla filologia}

Insomma, i frammenti privati, spesso a sfondo erotico-sessuale, sono tra i primi a essere eliminati: così nel pubblicare il Mestiere di vivere di Pavese nel 1952, l’editore Einaudi scrive che «riproduce quasi integralmente il manoscritto originale», a eccezione di «alcuni pochi tagli» che «s’imponevano là dove il contenuto era di carattere troppo intimo e scottante, e dove si trattava di questioni private di persone viventi». I passi omessi sono indicati da punti di sospensione tra parentesi quadre (per frasi) o con asterischi (per persone e parole). La limitata censura, secondo l’editore, non andrà a inficiare «né la fisionomia né alcun aspetto particolare del libro», per quanto la censura di passi erotici limiti la libertà della scrittura diaristica.

Certo, a questo punto vorremmo tutti andare a guardare le carte originali, scoprire la scrittura dei nostri scrittori sui loro diari, frugare ancora un po' tra le parole che non sono andate in stampa... Purtroppo, molto spesso è difficile anche solo decifrare le scritture o avere i permessi per far aprire le casseforti degli archivi. Ma allora cosa possiamo fare? Innanzitutto, se fossi un editore, diffiderei dei tanti parenti e amici che si offrono per curare la pubblicazione. Se fossi una studiosa (come faccio finta di essere), cercherei di vedere le carte, o almeno di fidarmi solo delle edizioni critiche, controllate e recenti. Se fossi una lettrice (come assolutamente sono), leggerei quel che c'è con il giusto spirito critico, pensando che, molto spesso, se l'edizione ci sembra un po' sospetta, abbiamo ragione: il diario vero non è tutto lì...

GMGhioni