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"Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto": un ricordo di Italo Calvino nel 90° anno dalla nascita

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Le persone che mi regalarono il quarto libro di Italo Calvino entrato a far parte della mia biblioteca, Se una notte d’inverno un viaggiatore, a pochi mesi da quel gesto si rivelarono molto diverse rispetto a quanto potessi immaginare. Se oggi ho deciso di “citarle” in queste poche righe, è principalmente perché rappresentano l’esempio palese del famoso detto secondo cui “non tutti i mali vengono per nuocere” . Ringrazio infatti quelle persone per due ragioni: avermi permesso di crescere “lottando” contro i fantasmi e le apparenze della realtà quotidiane anche grazie a quel libro. Se una notte d’inverno un viaggiatore, infatti, è diventato per me il punto di partenza di una serie di scoperte (ivi compresa quella di cui sopra), e di esperienze vissute con una passione che spero di riuscire a descrivere e trasmettere attraverso queste parole, in occasione del novantesimo anniversario della nascita di Italo Calvino. 


Riconosciuto come uno degli autori più importanti del Novecento italiano (e non solo), Calvino aveva quella che potremmo definire una spiccata capacità “affabulatoria”, tale da infarinare di ironia, semplicità e intelligenza i concetti e le riflessioni più profonde dell’essere umano e, in particolar modo, dell’essere umano che lavora con la scrittura. Dinamismo, movimento e continua esplorazione delle strutture della società e della vita umana, rappresentano le cifre chiave dell'attività letteraria di Calvino in cui è stato riscontrato, in particolare riferendosi a Le città invisibiliIl castello dei destini incrociati e Se una notte d’inverno un viaggiatore, una sorta di “invito a perdersi” derivante da un impianto letterario costruito secondo un'ottica e una struttura labirintica. 

Il labirinto, però, altro non è che un articolato impianto reticolare costruito in modo tale che l’uscita da esso risulti essere il frutto di un "gioco intellettuale",  complesso, concreto e degno di considerazione. Calvino, infatti, giocando con questa struttura sia all'interno dei testi citati che, in generale, quasi in tutta la sua opera, dimostra di mantenere ben saldo il suo legame col mondo esterno. Egli lo studia, lo rappresenta e gli attribuisce sembianze e caratteri via via diversi e, pertanto, talvolta labirintici, testimoni del contemporaneo evolversi e inseguirsi di trasformazioni letterarie, storiche e sociali. L’ipotesi di un Calvino che invita a perdersi, dunque, pur non essendo da escludere, è piuttosto interpretabile come un invito a cogliere e decodificare l'illusione labirintica che l’autore mette in atto sulle righe nere e orizzontali di una verticale pagina bianca, quindi, su un originario reticolo, a partire dal quale si diramano le molteplici strade (storie), di un labirinto sì, ma apparente, che intreccia i percorsi e le menti solo di chi resta in superficie ad associare le parole scritte al mondo non scritto. Calvino, invece, in questo è molto chiaro:
Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto. (Se una notte d'inverno un viaggiatore)
Non un invito a perdersi il suo ma, appunto, un invito a scoprire, a disvelare i contenuti nascosti e a superare i limiti della realtà ordinaria, coadiuvati dalle dinamiche e dalle strategie che la realtà del mondo scritto, ovvero la letteratura, mette a disposizione dell’uomo, in quanto spazio privilegiato, asilo individuale delle angosce, realtà stra- ordinaria. Sullo spazio circoscritto, ma illimitato, dei fogli bianchi, la geometria, la geografia e la biografia dell’uomo prendono le sembianze di storie e concentrano, nelle pagine dei libri, una minima parte delle combinazioni di eventi possibili. È in questo modo che la letteratura calviniana riesce a stupirci, è in questo modo che riesce a regalare l’immagine di un mondo che, come un gomitolo di lana, sbrogliandosi intreccia una trama di parole, gesti e rappresentazioni che si rincorrono saltando da una riga all'altra e da una rete all'altra, per poi assestarsi sull'ordito di un unico tessuto. Si tratta di un’idea di letteratura intesa sì come spazio privilegiato ed elitario, ma che, ciononostante, non porta con sé qualcosa di esclusivo o alienante, non va temuta, né tanto meno condannata. Capire un’opera letteraria equivale a goderne e questo accade quando cerchiamo, e troviamo, al suo interno, il qualcosa di cui il quotidiano che domina intorno a noi ci priva; è a quel qualcosa che si riferisce Calvino, è quel qualcosa che Calvino nasconde nel labirinto dei suoi testi. 

Leggere Italo Calvino, dunque, può avere questo di interessante, e cioè il fatto che attraverso l’utilizzo di dinamiche letterarie sospese fra la realtà più semplice, come quelle della nostra geografia quotidiana, e l’immaginazione più complessa, quale risulta essere appunto l’idea di labirinto, sembra di trovarsi nelle stesse condizioni di chi guarda la pioggia, ne ascolta il rumore e si bagna le scarpe, restando fermo nel punto esatto da cui poi, alcune di quelle gocce, attraversate dalla luce del sole, restituiranno l’immagine nitida di un arcobaleno. Nel Viaggiatore egli scrive di un romanzo imprendibile, e forse inesistente, elaborando in altri dieci romanzi le parti di realtà verosimilmente convincenti per il lettore, attraverso l'engagement imprescindibile rappresentato dall'incipit. In questo modo egli non fa altro che nascondere quel romanzo, e gli altri, dietro un sistema di relazioni che si stabiliscono solo nell'ambito letterario. Essendo questo il territorio di una modalità espressiva fruibile a pieno solo a chi la conosce dall'interno, in esso la letteratura diventa spazio privilegiato, elitario e nascosto solo per chi si rifiuta di conoscerla, ma che in realtà consente di percorrere, interpretare e, perché no, prevedere, come ha fatto Calvino, la molteplicità, la diversità e soprattutto la complessità che dominano nel mondo reale, attualmente nascosto sotto i segni di una universale ed omogenea volontà espressiva.

Martina Fiore