I
neologissimi
di Luigi Malerba
Quaderni dell'Oplepo, 2013
Se
fosse possibile condensare in poche pagine i tratti salienti
dell'opera di Malerba otterremmo probabilmente qualcosa di simile a I
neologissimi. Se fosse possibile, ma possibile non è, troppo
vasto è l'universo malerbiano, troppo forte la pluridirezionalità
dei contenuti e multiforme la sperimentazione linguistica. Nonostante
ciò, la plaquette appena pubblicata è, da questo punto di
vista, assai efficace. Beninteso, i tipi che l'hanno edita non si
sono prefissi di riassumere alcunché, non è quella la loro
ambizione, ma di fatto il risultato si avvicina a qualcosa del
genere. Tolto – com'è ovvio, trattandosi di un breve e succoso
elenco di parole inventate e non di un romanzo – tutto quanto
pertiene alla narrazione strictu sensu,
gli intrecci sghembi che riflettono il coacervo di contraddizioni e
caos solitamente ritenuto e definito “realtà”, rimangono
parecchi ingredienti base della fucina letteraria dello scrittore.
I
sessantacinque lemmi qui raccolti sono stati pubblicati tra il 1977 e
il 1978 su alcune riviste letterarie e punteggiano diversi romanzi
(Il Pataffio su
tutti). Leggerli riuniti uno in fila all'altro, però, dà modo di
formulare qualche considerazione che trae origine dalle singole voci
ma abbraccia il modo di fare letteratura del nostro autore.
In
primis, testimoniata dalla
stessa facilità con cui sgorgano fiotti di neologismi dalla sua
felicissima penna, emerge l'importanza assoluta assegnata alla
parola. Per Malerba, distante dalle astrazioni esposte al rischio di
trasformarsi in dogmi intoccabili e fumosi, la parola è anzitutto
materia, segno concreto che si approssima a un referente
tendenzialmente inafferrabile. Il relativismo con cui lo scrittore
guarda il mondo lo porta a diffidare di ogni assoluto. Non di rado la
reazione beffarda nei confronti della “verità” e dei suoi
vessilliferi (in un'intervista uscita su «La
Stampa»
il 17 gennaio 1987
viene introdotta la categoria delle 'pecore dogmatiche') comporta un
tuffo negli strati semantici più infimi ed estranei agli
infingimenti di chi parla molto per comunicare ben poco. La parola
che nasce e cresce (in una visione organicistica che parifica i
prodotti del linguaggio agli esseri viventi) all'interno di un
registro comico è spesso preziosa, significatrice:
«Stai attento perché molte parole sono sdrucciole, viscide come anguille, salterine come cavallette, sono di una astuzia diabolica e non cadono in trappola tanto facilmente. Alcune parole sono invisibili» (Il Serpente).
Proprio le incursioni in zone
lessicali basse, talvolta brutalmente escrementizie, ci consegnano
“neologissimi” indimenticabili (ma Ermanno Cavazzoni ci ricorda
che i neologissimi, a differenza dei neologismi, «sono nascenze
fugaci, ci vorrebbe una sorta di Stato di polizia per imporli già a
scuola ai bambini» (p. 3) ): “merdastro” è il «colore di non
facile definizione, comunque tra il verde marcio e il terra di Siena
bruciato, con qualche tendenza al giallo-uovo», “sporcacchione”
indica chi «non è soltanto sporco, è anche coglione».
Anche l'ironia, marchio distintivo
di ogni neologissimo, è caratteristica concernente quasi tutti gli
scritti malerbiani. Il sorriso, raramente il riso, scaturisce dal
senso di spaesamento frutto di deformazioni linguistiche e
sabotamenti logici* che colorano di assurdo quanto viene asserito con
tono apparentemente serio.
«H!: Interiezione polivalente allo stato puro. Si può usare sia in luogo di ah! che di eh! ih! oh! uh! E può esprimere sia stupore che ira, ammirazione, paura, gioia, noia, dolore, ripugnanza, allegria eccetera».
C'è poi la satira che la passione
civile di chi vive in un paese depredato da politicanti corrotti
mescola a uno sdegno non sempre illuminato da lampi di umorismo
(«Sono bugiadri i grandi evasori fiscali e i ministri italiani nel
momento in cui mentiscono per nascondere le loro malefatte»).
Ancora, l'interesse per la fisica quantistica – Heisenberg è
sempre stato considerato da Malerba una delle massime incarnazioni
della saldatura tra fisica e metafisica – e la valorizzazione
dell'elemento dialettale trovano ampio spazio in
queste pagine (si vedano
le voci “Luco” e “Bisàglia).
In sintesi: chi ha già avuto modo
di leggere almeno i testi imprescindibili dello scrittore bercetano
gusterà questa pubblicazione con interesse e divertimento, ammesso
che riesca ad averla per le mani: non è in vendita e ne sono stati
stampati soltanto pochi esemplari. Chi invece ancora non con conosce
l'autore si affretti a leggere qualcosa (Il
Serpente, Salto
Mortale, Le pietre volanti...).
Luigi Malerba è davvero una figura di spicco della letteratura
italiana contemporanea, un autentico gigante i cui libri sono
destinati, c'è da crederlo e augurarselo, a una sempre maggiore e
meritoria visibilità. Molti ne sono già consapevoli, moltissimi lo
saranno negli anni a venire, c'è da scommetterci.
* «Vedere il lato ridicolo delle
cose, essere in grado di capovolgere l'ottica usuale, rifiutarsi ai
conformismi quotidiani è uno degli esercizi più salutari per
difendersi dalla banalità di base. Il non-sense e il
paradosso sono i due
strumenti più facili da utilizzare e anche i più divertenti per
interpretare la realtà. («Mondoperaio», 6 giugno 1980).
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