Paolo Cognetti, giovane autore milanese, firma i sette racconti
che compongono Manuale per ragazze di
successo. Questi sono legati in modo stretto e sebbene le vicende descritte
non abbiano un legame apparente, i punti di contatto sono numerosi. Due in particolare
sono quelli su cui fermare l’attenzione: l’uso
abilissimo del punto di vista femminile, per dare corpo a personaggi perfettamente
realistici, e le ambientazioni che fanno da cornice, o più precisamente da
specchio, alle storie.
Per quanto riguarda il primo aspetto, un tratto tipico della
poetica di Cognetti è la rilevanza del personaggio femminile, quasi sempre
protagonista non solo in Manuale per
ragazze di successo, ma anche in opere più recenti come Una cosa piccola che sta per esplodere
o Sofia si veste sempre di nero, finalista
all’ultima edizione del Premio Strega. La donna che di cui si racconta è sempre
giovane, a volte adolescente, è descritta in un momento di passaggio, durante
una crisi che la pone di fronte ad un punto di svolta.
Della crisi, in
particolare, è ripreso l’aspetto catartico: senza di essa l’esistenza vissuta
da queste ragazze continuerebbe ad essere statica e negativa, mentre al
contrario la situazione di rottura conduce la vicenda su un piano dinamico. Significativa
è la citazione che apre il libro, we are all stars, and we all deserve the
right of shine: per quanto le
cose possano andare male non c’è niente che impedisca di modificarle.
Le scelte delle
protagoniste potrebbero essere giuste oppure no, ma quello che qui interessa
non è tanto la correttezza di una decisione quanto il coraggio di cambiare. Il
lettore non sa che cosa succederà dopo.
Se vuole può però immaginarlo. In fondo è proprio questo uno degli aspetti
migliori del racconto come forma di narrazione, il suo essere più interattivo
rispetto al romanzo, che lascia meno spazio all’immaginazione in favore
generalmente di una caratterizzazione più completa.
L’abilità con cui Cognetti riesce a trattare certi problemi
e a rendere realisticamente situazioni interiori di confusione e sofferenza, adottando
un punto di vista per forza diverso dal suo in quanto uomo, sarebbe già di per
sé un motivo sufficiente per acquistare questa raccolta. Ma in realtà Manuale per ragazze di successo è reso
ancora più interessante grazie allo scenario che fa da sfondo alle storie, che
è poi un filo rosso che le collega e che considerato nel complesso dipinge una
realtà desolante, ma che lascia sempre uno spazio alla speranza di un possibile
miglioramento.
Da un lato c’è quasi sempre Milano, la città delle grandi opportunità, ma allo stesso tempo una
trappola che divora chi non riesce a stare al passo con i suoi continui
mutamenti. Gli spazi urbani sono le periferie e le grandi strade a
scorrimento veloce. D’altro lato, vengono descritte anche scene d’interni e la
casa, come archetipo, svolge un ruolo chiave in ogni racconto. Al riguardo, su
Minima et Moralia, Cognetti riprendendo un paragone fatto da Alice Munro tra la
storia e la casa e dice:
A me pare che la similitudine sia vera anche al contrario: ogni casa è una storia. Intanto perché, proprio come un racconto, è un contenitore che divide il mondo in due spazi, un dentro e un fuori in conflitto tra loro. Poi perché una casa cambia con il tempo, e che altro c’è da raccontare se non questo – conflitti e cambiamenti?
In qualche caso le
scene si svolgono in quelli che Marc Augè chiama non luoghi -penso agli
autogrill di Orientarsi con le stelle
o gli aeroporti in La ragazza che sei
stata- che assumono una evidente funzione simbolica: mentre le vite di
tutti sembrano muoversi quelle delle protagoniste restano sospese in una realtà
senza una precisa identità temporale.
Dello stesso autore è possibile leggere oltre ai già citati Una cosa piccola che sta per esplodere e
Sofia si veste sempre di nero, entrambi pubblicati per Minimum Fax; New York è una finestra senza tende, edito
da Laterza, meravigliosa guida che illustra i luoghi e gli scrittori della
Grande Mela amati da Cognetti ed infine Il
ragazzo selvatico.
Edizione di riferimento: P. Cognetti, Manuale per ragazze di
successo, Roma, Minimum fax, 2004
***
Da Guidare nelle metropoli
Io non sapevo di essere diverso. Imparavo. Da solo, in macchina, osservavo la mia città dalla strada. Era la fine del ventesimo secolo e Milano viveva sull’onda lunga della sua età dell’oro: anni in cui erano arrivati uno alla volta il potere economico, il potere mediatico, il potere politico, c’erano nuovi lavori, nuovi modelli sociali, correnti di energia e soldi in circolo: esisteva una possibilità per chiunque avesse una buona idea e il coraggio di correrle dietro, e per strada, sulla circonvallazione, l’ottimismo e la fede nel lavoro ti scompigliavano i capelli dal finestrino, scorrevano di fianco a te, non potevi starne fuori.
In primavera io e Maia uscivamo di casa al tramonto. Le ore a cavallo tra le sette e le nove erano le migliori per fare il giro dei locali e mangiare con pochi soldi. La città tornava solo nostra: gli studenti chiudevano i libri, i giovani professionisti scendevano dagli uffici, disoccupati e mantenuti risorgevano dai loro divani, e tutti quanti sembravamo assomigliarci nella luce calante, attorno ai tavoli dell’aperitivo, ubriachi e all’apice della curva quotidiana del buon umore.
In quel periodo Maia frequentava altri figli di amici dei suoi genitori, fondatori di una piccola rivista letteraria aperta alle arti ibride e alla vita notturna. Loro lavoravano di giorno nelle agenzie pubblicitarie e producevano cultura alternativa la notte: creavano e distruggevano, guadagnavano bene, vestivano bene, mangiavano bene. Però non voglio essere cattivo, sarebbe sbagliato giudicare. Milano viveva di economia e comunicazione, e la pubblicità era il nodo indissolubile tra queste sue anime: era l’architrave del sistema, e se la nostra città avesse avuto vene e arterie, il cuore sarebbe stato lì, seduto al tavolo del brain-storming a vendere felicità e pannolini.
Siamo rimasti dentro quella casa per settimane. Ci sentivamo prigionieri, o rifugiati: fuori la città sembrava sotto coprifuoco. La bolla finanziaria era scoppiata, e le illusioni cadevano una dopo l’altra per reti imprevedibili di causalità. Le grandi aziende tagliavano in ricerca e investimenti, quelle piccole si tenevano a galla e ogni tanto affondavano, le minuscole idee geniali venivano spazzate via. Chi aveva delle amicizie le usava. Chi aveva soldi li nascondeva. Eravamo al si salvi chi può. Per strada la crisi si trasformava in caccia all’uomo: la vita diventava difficile se eri povero, o se eri uno straniero. Sembrava che fosse colpa tua.
Da Manuale per ragazze di successo
Niente rimorsi: io sto bene da sola, lo sono sempre stata. Ho un cervello, un corpo in forma, un talento: sono il fulgido esempio di una nuova generazione di donne al potere. Basta con l’immaturità sentimentale delle nostre sorelle maggiori, malate di eterna adolescenza; basta con l’autolesionismo da lesbica in carriera. Siamo cresciute negli anni Novanta, noi, coscientemente adulte e istintivamente femminili, sobrie nel vestire, ironiche e autoironiche. Da piccole abbiamo visto la pubblicità progresso, e ora, da grandi, diffidiamo dei rapposrti occasionali. Siamo monogame e realizzate, sappiamo amare, lavorare, cucinare. Siamo il Modello Femminile Dominante, la fine del dibattito sulla condizione della donna.Avrò un figlio, mi ripeto.Ventisei anni sono troppi per una ragazza madre?
Da La ragazza che sei stata
Io ho appoggiato le mie cose sul letto. Avevo i sacchi neri per la roba da buttare e gli scatoloni per tutto il resto. Ho dato un morso a una mela studiando i muri della stanza con l’occhio cinico di un demolitore, poi mi sono legata i capelli e ho pensato: provate a fermarmi.
Ho staccato dal suo posto accanto al letto anche la bacheca delle foto, perdendo meno di un minuto per salutare i miei amici dispersi e dire addio alle verità provvisorie rivelate dalle nostre pose di mezzi uomini: a sedici anni ero almeno una piccola borghese in rivolta, con la testa piena di nemici e una serie di antidoti alla vita comoda che facevo. Ero un grumo di rancore e orgoglio che affiorava da ogni fotografia: stanca o drogata di notte dentro una macchina piena di fumo, nuda e magrissima in una spiaggia della Grecia, addormentata su una cattedra durante un’occupazione, e poi al parco, sdraiata con un cappello di paglia di fianco alla mia bicicletta, stravolta e sommersa di cuscini la domenica mattina di un pigiama party, pallida al sole sul balcone dei miei, con una tazza di tè e un portacenere, mentre studiavo per la maturità, e poi truccata di nero, aggrovigliata nelle lenzuola di quattro o cinque letti diversi, femminile e minacciosa dentro la cabina di un metrò, fototessera dell’ultimo treno, un sabato notte. Avevo dovuto attraversare tutte quelle forme per diventare tanto insignificante? Mi ero arenata da qualche parte e forse prima o poi sarei stata abbastanza lucida da capire perché: adesso volevo soltanto distruggere tutto e cominciare da zero.
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