di Serena Dandini
Rizzoli, 2013
pp. 220
€ 15,00
Ferite a morte, lo spettacolo di Serena Dandini che porta sulla
scena le vittime dei femminicidi, è attualmente impegnato in un tour internazionale.
Dopo Washington, New York e Bruxelles, ha fatto tappa a Londra il 3 dicembre, ospite della Trust
Women Conference.
Per l’occasione l’Italian Bookshop di Londra ha invitato l'autrice a parlare del libro la sera prima
dello spettacolo. Interlocutrice della Dandini è stata Caterina Soffici, giornalista del Fatto Quotidiano e
autrice del libro Ma le donne no
(Feltrinelli 2010). Alle sue domande si sono alternate letture tratte dal libro, a cura
di alcune ospiti della serata e dalla padrona di casa, la libraia più amata
dagli italiani di Londra: Ornella Tarantola, già elogiata da Concita de Gregorio
e omaggiata da Luca Bianchini nella dedica del suo ultimo libro, La cena di Natale. Una serata calda quella di lunedì 2 dicembre (almeno dentro la libreria), un ascolto intenso della parola femminile sanguinante. Ferite a morte è un viaggio in una Spoon River al femminile: come
Edgar Lee Masters, Serena Dandini dà voce a chi dall’aldilà racconta la propria
vita, in questo caso stroncata per mano di un uomo. Una voce a volte rabbiosa a
volte rassegnata, ma mai stucchevole. Se c’è commozione al leggere il libro
non è perché la Dandini ricerca la lacrima facile. Quella la lascia ai
programmi che fanno delle tragedie dei femminicidi una telenovela:
Serena Dandini, Caterina Soffici e Ornella Tarantola |
Che si tratti di Melania, Chiara o Jara, queste donne sono sempre chiamate per nome, con una familiarità imbarazzante, quasi oscena. E così vengono uccise una seconda volta, sacrificate sull’altare dell’Auditel con la complicità di una schiera di parenti e affini soggiogati dalla lucciola mediatica.
Sì è turbati nel leggere le
storie – fitte, brevi, di appena un paio di pagine – delle donne ferite a morte
perché si ha ancora una volta l’amara conferma di quanto sia lunga la strada
della completa accettazione delle differenze sessuali. “La parità sta nel fatto
che siamo due generi che vanno rispettati nelle loro diversità” ha detto la
Dandini. Diversità, per molti decenni della storia del nostro Paese , c’è stata
invece solo nell’attribuzione delle colpe. Ad esempio fino al 1968 in Italia
l’adulterio era reato per le donne, mentre per gli uomini lo era solo se
“l’affare” era di dominio pubblico. E non scordiamoci che in Italia il delitto
d’onore è stato abrogato solo nel 1981.
Si soffre a leggere la parola
ferita perché si riconosce bene quel senso di colpa interiorizzato
culturalmente, che si nasconde nei piccoli riti di ogni giorno, nei ruoli dati
per scontati. Per questo “se non si fa prevenzione, se non si capisce che è un
problema culturale, non si va da nessuna parte”, ha affermato la Dandini, applaudita
dal pubblico dell’Italian Bookshop.
Con Serena Dandini all'Italian Bookshop di Londra |
Prima che iniziasse la serata nella libreria londinese, Serena Dandini ha parlato con noi di CriticaLetteraria del
suo Ferite a Morte. La simpatia e
l’arguzia che l’hanno resa celebre al grande pubblico italiano non hanno
tardato a mostrarsi anche nel contesto intimo, anche se estero, in cui l’abbiamo
conosciuta.
Come ti è venuta l’idea di scrivere una Spoon River fatta da donne?
L’idea nasce da una grande
rabbia, volevo liberare le donne vittime di femminicidio almeno da morte. A
volte convegni e articoli non arrivano al cuore e alla coscienza delle persone,
la drammaturgia sì. Ferite a morte è
nato come spettacolo teatrale. Ancora non avevo finito di scrivere i monologhi
che le donne del centro antiviolenza di Palermo mi hanno contattato perché
volevano metterli in scena. All’inizio non ci credevo, ma è stato un grande
successo, tanto che sono stata pure onorata della cittadinanza palermitana. E
così poi è diventato un libro.
Un libro che ha necessitato di una grande ricerca immagino. Ti sei
dovuta mettere personalmente nei panni e nei corpi feriti delle donne a cui dai
voce.
Sì, il libro è stato scritto con
Maura Misiti, ricercatrice al CNR. Lei ha curato le schede informative della
seconda parte, io ho raccontato le voci e le vite spezzate delle donne. Alcune
storie sono inventate, altre sono riconoscibili (ad esempio, quella di Marie Trintignant, l’attrice uccisa dal leader
del gruppo francese Noir Désir, o quella di Vanessa Scialfa, assassinata dal
fidanzato a Enna nel 2012. Ndr). Come dico sempre, io e Maura insieme siamo
“ragione e sentimento”.
È un binomio che funziona bene quello della doppia scrittura: da un
lato la narrazione, dall’altro i dati. È lo stesso metodo che ha usato
Simonetta Agnello Hornby con Marina Calloni, nel loro Il male che si deve raccontare. E poi, più in generale, negli
ultimi anni anche altre scrittrici italiane si sono avvicinate alle tematiche
femministe e al femminicidio: Michela Murgia, Loredana Lipperini… Ma questi
libri li comprano anche gli uomini secondo te?
Io vedo molti uomini, magari
incuriositi dallo spettacolo teatrale, che comprano il libro. E molte donne che
lo regalano agli uomini. Dobbiamo farlo perché quello del femminicidio non è un
“women issue”: è un problema che si vince insieme, uomini e donne.
Come può la parola letteraria, la parola femminile ferita in questo
caso, raggiungere tutte le donne, e non solo quelle che già sono sensibili al
problema?
Io ho cercato di farlo mettendoci
anche dell’autoironia nelle voci delle protagoniste del libro. Ché si sa,
l’autoironia è tipica delle donne. È difficile quando a parlare sono delle
morte. Di solito si parla delle vittime in modo obitoriale: si parla di dna, di
tracce di sperma, per non dire delle trasmissioni in cui i loro drammi vengono
riprodotti con un plastico. Io, invece, volevo cercare di dar loro la voce che avevano prima di morire. Una parola viva, che può arrivare a tutte
le donne che sono ancora in vita e ci vogliono restare.
Al microfono dell’Italian
Bookshop Serena Dandini ha continuato a denunciare il femminicidio con parole forti.
“Non scordiamoci che è un crimine di Stato” ha detto, aggiungendo quanto ci sia ancora da lavorare in Italia per
fronteggiare seriamente e urgentemente la questione: “i femminicidi li conta la
Casa della donna di Bologna, andando a leggere i fatti di cronaca, ci pensate?
Da poco è stata istituita una commissione nazionale, ma non si sa se avrà vita
lunga, è in balia degli avvenimenti politici”. Ma la Dandini si è fatta anche
portavoce di un orgoglio nazionale: “L’Italia può trasformarsi in un motore. Abbiamo
firmato la Convenzione di Istanbul (sulla prevenzione e la lotta contro la
violenza sulle donne. Ndr), mentre Spagna, Francia e altri Paesi
ancora lo devono fare”.
Ferite a Morte è un libro che conferma artista a tutto tondo Serena Dandini, alla
terza opera dopo Dai diamanti non nasce niente (Rizzoli 2011) e Grazie per quella volta (Rizzoli 2012). Un’ottima prova di
scrittura, che consigliamo caldamente di comprare, regalare e – magari – fare trovare
sotto l’albero.
Un’ulteriore conferma della forza
della parola femminile che – spietata ma sobria – chiede di essere ascoltata, rimette
in vita per denunciare e, insieme alla poetessa messicana Susana Chávez – una delle
anime ferite del libro – urla “ni una muerta más”.
Serena Alessi
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