L'uomo delle Affissioni Comunali sputa per terra e si forbisce con l'avambraccio libero, il sinistro. Col braccio destro regge il secchio della colla e stringe sotto l'ascella un lungo rotolo di carta. […] Io assomiglio a un pappagallo sul trespolo mentre lo osservo appollaiato sulla mia Vespa.
Così esordisce sulla scena del noir
italiano l'investigatore privato Bacci Pagano, personaggio creato
dallo scrittore genovese Bruno Morchio, che in questi mesi
è tornato in libreria con una nuova avventura, Lo
Spaventapasseri (Garzanti). Ma
non è di quest'ultimo romanzo che voglio parlare oggi. Fuggendo un
po' dall'ansia dello “stare sul pezzo”, preferisco riavvolgere il
nastro di una decina d'anni e otto romanzi, tornando al 2004 quando
nelle librerie usciva Bacci Pagano. Una storia da carruggi,
edito dai Fratelli Frilli.
L'esordio
letterario di Bruno Morchio è il terreno in cui il personaggio
conosce la sua genesi, dove iniziano ad emergere alcuni tratti caratteristici della sua personalità che
poi negli anni si consolideranno. Questi si articolano attraverso le
due inchieste a cui l'investigatore privato sta lavorando: la prima
per una famiglia borghese di Genova, gli armatori Pellegrini; la
seconda per una vecchia conoscenza di Pagano, Lagrange, un comunista
sessantottino con cui ha condiviso parte della sua militanza
politica.
Le due indagini
viaggiano parallele e mettono in evidenza per lo meno tre aspetti che
poi saranno centrali nell'evoluzione successiva del personaggio: la
genovesità, la letterarietà e l'impegno politico.
La genovesità.
Bacci Pagano, all'anagrafe Giovanni Battista, è un uomo dal
carattere duro, schivo e diretto. Un «analfabeta dei sentimenti» appassionato di Mozart che non ama perdersi in inutili
discussioni ed è estremamente pratico. Il nome che porta è tutto
dentro i confini della città vecchia di Genova, dove è nato,
cresciuto e dove vive. Lo Stradone Sant'Agostino, a due passi dal
nucleo originario della città pre-romana, è il punto di partenza e
d'arrivo di tutte le sue indagini. Il
capoluogo ligure ha un'importanza di primo piano nel romanzo, non
solo come sfondo ambientale in cui si svolge l'azione. I suoi vicoli
(lo Stradone, ma anche via San Bernardo, Canneto il lungo, Piazza
Matteotti), la sua periferia (San Gottardo, Staglieno, la Val
Bisagno), i suoi quartieri borghesi (Castelletto e Albaro) e i suoi
caffè (primo fra tutti il Caffè degli Specchi) fanno da contraltare
alla presenza ingombrante di un “io” narrativo che domina,
dall'interno, l'intero romanzo quasi a prendersi lo spazio di
onnipotenza che di solito è destinato al narratore onnisciente.
Genova
ha tutta l'aria di essere una controparte femminile (come lo era per
Caproni, del resto), quasi che le donne presenti nel romanzo (la
prostituta Jasmine, la colf Zainab, la mamma padrona Assunta,
l'amante adultera Alma Montello, ecc.) non siano altro che piccole
frazioni, parti di un tutto che altro non è che la città ligure.
Luogo in cui Bacci Pagano si muove con estrema disinvoltura, a piedi,
in Vespa o con un vecchio Maggiolone. Il lettore deve familiarizzare
con questi spazi perché conoscere Genova diventa imprenscindibile
per conoscere il personaggio. Si tratta di una città un po'
bagascia, che
deresponsabilizza l'uomo, che non lo impegna, ma lo tiene legato a sé
senza opportunità di fuga. Allo stesso tempo, però, è una città
struggente, decadente, misteriosa e mediterranea: una città che
nella sua immobilità non sta un attimo ferma. Una città tagliata
dal maestrale, antitesi delle città del nord i cui centri storici
sembrano un salotto tirato a lucido:
Genova e il vento. Due monelli capricciosi che non vogliono mai smettere di giocare. Capricciosi e molesti. […] Sto accostando al muraglione che da corso Carbonara guarda Genova dall'alto. Un gran bel colpo d'occhio sul porto e sul Bigo, il tratto di centro storico compreso tra Banchi e la porta dei Vacca. Un grigio rebigo di tetti obliqui sotto i quali si spàntega la fitta ragnatela dei carruggi dove il sole fa capolino in punta di piedi, a mezzogiorno. […] Eccola lì, Genova lustrata dal maestrale.
Genova è una
città noir per eccellenza, dove il bello e il brutto non solo convivono, ma sono la
stessa
Genova dall'alto - Foto di Laura Torre |
cosa. Un luogo popolato dalla feccia della terra, un esercito
di miserabili che tira a campare tra droga e prostituzione. Ma anche
una città che al buio delle sue viscere contrappone la luce dei suoi
tetti e delle sue alture, l'orizzonte infinito del suo mare.
Soffermarsi e capire questi aspetti permette di entrare dentro il
personaggio di Bacci Pagano, «ratto dei carruggi» e «analfabeta
dei sentimenti». Una figura umana, sì,
anzi umanizzata, ma allo stesso tempo, come mi ha confermato lo
stesso Bruno Morchio, «squisitamente letteraria».
La letterarietà.
Bacci Pagano è quindi un personaggio che nasce, cresce e morirà
entro i confini della letteratura. I suoi modelli non sono uomini
veri, ma immaginari, con nomi e cognomi precisi: Pepe Carvalho, Philip
Marlowe, Fabio Montale, tra gli altri. Inutile fare l'elenco di tutti
i tratti che accomunano l'investigatore genovese ai suoi
predecessori. Basti sapere che col tempo Bacci Pagano da discepolo
potrebbe trasformarsi a sua volta in modello: quello che lo rende
interessante è infatti la capacità di diventare autonomo e
indipendente, di emanciparsi dai suoi maestri e camminare con le
proprie gambe. Non sono tanto le similitudini, quindi, a darne la
cifra, quanto le differenze, cioè quelle piccole cose che lo rendono
unico. Particolari a volte comici, come il fatto che non indossi le
mutande, altri più seri e profondi, come il riaffiorare del ricordo
commuovente dell'infanzia, che lo caratterizzano e che permettono
un'identificazione con il lettore.
Data questa forte
letterarietà non devono sorprendere citazioni e piccoli omaggi
dispersi qua e là nel romanzo:
Un amministratore delegato è un dirigente che sulla sua azienda esercita un potere pressoché assoluto e, per il tempo in cui gode della fiducia degli azionisti, tocca a lui fare il bello e il cattivo tempo. Tutte le scelte importanti sono nelle sue mani, ed egli ne porta in solitudine tutta la responsabilità. La solitudine del manager.
L'ultima frase, “La
solitudine del manager”, è un chiaro rimando alla seconda indagine
di Pepe Carvalho, il celebre personaggio di Manuel Vázquez
Montalbán. Nel romanzo, dal titolo La soledad del manager,
l'investigatore galiziano-catalano si trova a indagare sulla morte di
un amministratore delegato barcellonese, Jaumá, nella Spagna appena
uscita dalla dittatura. La vittima, oltre ad essere una vecchia
conoscenza di Carvalho, era anche un ex militante comunista catalano.
Durante l'indagine il personaggio montalbaniano si ritroverà a fare
i conti con un pezzo della sua storia, ritrovando vecchi compagni che
hanno intrapreso ognuno la propria strada, tra i quali c'è anche chi
continua a vivere un sogno politico irrealizzabile. Questi caratteri
che nel romanzo spagnolo ritroviamo dispersi in più figure, in Bacci
Pagano. Una storia da carruggi sono concentrati nel personaggio
di Lagrange, per il quale Pagano deve indagare circa la scomparsa di
una carabina. Su questo fronte Morchio inonda il romanzo di una
componente politica e ideologica del tutto simile a quella
riscontrabile nel romanzi di Montalbán.
L'impegno politico.
L'azione del romanzo si svolge diciotto mesi dopo il G8 di Genova,
intorno a Natale del 2002. Le conseguenze degli scontri del luglio
2001 sono lontane dall'essere assimilate e sembrano aver risvegliato
in Bacci Pagano il ricordo di un passato fatto di militanza politica
e una detenzione che, per quanto ingiusta (anche Carvalho finì in
carcere quando era un giovane militante del Partito Comunista di
Spagna), lo macchierà per sempre come “rosso”.
È ovviamente
presente l'antagonismo tra il corpo di polizia, in modo particolare
la celere, e il detective. Ciononostante, il vicequestore
Pertusiello, della omicidi, fa da giusto contraltare al suo omologo
della DIGOS: il primo comunista, tollerante e ben consapevole
dell'importanza istituzionale del suo ruolo; il secondo, invece,
trasposizione letteraria del peggior nostalgico fascista che è
riuscito a far carriera nelle forze dell'ordine. Semplificando
all'estremo queste due figure si potrebbero interpretare come la più
classica opposizione poliziotto buono/poliziotto cattivo.
L'aspetto più interessante del dibattito polittico in questo primo Bacci Pagano è il disincanto che avvolge il
protagonista, ormai consapevole che gli ideali, per quanto giusti e
di alto profilo, non servono, da soli, a portare nel mondo una
maggiore giustizia. Quindi è necessario sporcarsi le mani. Questo è
forse l'aspetto più interessante dei numerosi momenti in cui i
personaggi si lasciano andare a conversazioni sulla politica,
rimbalzando tra passato e presente, in una specie di ping pong dei
ricordi. Ricordi che si infrangono sul muro degli scontri che hanno
reso famoso nel mondo il G8 di Genova, portando personaggi come
Pagano e Pertusiello al definitivo disincanto. Ciononostante,
l'investigatore dei carruggi non cede al nichislismo e al
disfattismo, ma cerca di mantenere una condotta che sia il più
eticamente accettabile, consapevole del fatto che il suo
mestiere lo porta ogni giorno a dover scendere a compromessi.
Da questa prima analisi del personaggio, è naturale inserirlo in un filone letterario ben
preciso che ha come “capostipite” ideale Pepe Carvalho e come
“fratelli maggiori” Fabio Montale, personaggio nato dalla penna
del francese Jean-Claude Izzo, e Kostas Charitos, frutto della
fantasia dello scrittore greco Petros Markaris.
Ognuno di questi
personaggi, e Bacci Pagano non fa eccezione, riesce col tempo a
crearsi il suo spazio, ad evolvere fino a diventare completamente
indipendente dal modello di partenza. Sarebbe opportuno anche
evidenziare le differenze, soprattutto sull'asse Pagano-Carvalho, ma
questo è un lavoro che lascio ad una futura occasione.
Tornando
al disincanto, sono dell'idea che sia più questo aspetto che non
l'ambientazione mediterranea a contraddistinguere questo tipo di
letteratura e di personaggio. Come sottolineato dal critico spagnolo
Javier Sánchez Zapatero, ideatore del Congreso de la
novela y del cine negro, ormai
giunto alla X edizione, non può essere un criterio geografico (il
bacino del Mediterraneo) a definire un'affinità estetica. Anche
perché, continua lo spagnolo, Montalbán ha seminato le sue tracce
ben lontano dal mare nostrum,
in America Latina, soprattutto con l'investigatore privato di Città
del Messico (dove non c'è neanche il mare) Hector Belascoarán
Shayne, invenzione di Paco Ignacio Taibo II.
Quello che forse davvero manca a Bacci Pagano è una
risonanza internazionale all'altezza della sua buona qualità
letteraria. Ma qui entriamo nei meccanismi contorti e a volte
inspiegabili dell'industria editoriale. Ed usciamo inesorabilmente
dal campo della letteratura. Rimane il fatto che, letto nel 2004 (anno della sua pubblicazione),
Bacci Pagano. Una storia da carruggi aveva in sé l'eco di un passaggio di testimone, che risuonava in modo
suggestivo
nella citazione montalbaniana riportata poco fa: solo un anno prima
se ne era andato per sempre Manuel Vázquez Montalbán e con lui Pepe
Carvalho, la cui ultima avventura (Millenio Carvalho)
inizia casualmente proprio a Genova.
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