Livelli di vita
di Julian Barnes
Einaudi, Torino 2013
118 pp.
16.50 Euro
Gli ultimi giorni del 2013 mi hanno regalato una sorpresa in fatto di letteratura. Non che il talento di Julian Barnes fosse una sorpresa trattandosi, non solo a mio parere, di una delle voci più meritevoli della narrativa contemporanea.
Tuttavia, il suo Livelli di vita è riuscito a spiazzarmi, rendendolo uno di quei libri che insegnano quale possa essere la forza della parola, con un dono della sintesi unico e una capacità sconcertante di addensare i più alti sentimenti in 118 pagine.
Livelli di vita è il romanzo in cui lo scrittore inglese, già vincitore del Man Booker Prize 2011 con Il senso di una fine, racconta il lutto per la perdita della moglie, Pat Kavanagh, agente letterario, scomparsa nel 2008.
«Metti insieme due cose che insieme non sono mai state. E il mondo cambia. Sul momento è possibile che la gente non se ne accorga, ma non ha importanza. Il mondo è cambiato lo stesso».
Così Barnes dà inizio al suo libro immaginando dapprima la storia d’amore tra l’attrice francese Sarah Bernhardt e il colonnello e viaggiatore inglese Fred Burnaby. Li unisce la passione per il volo sull'aerostato, il senso di libertà e leggerezza che li conduce a una relazione altrettanto precaria come i fili di una mongolfiera, a causa del carattere volubile e capriccioso della divina Sarah, eccentrica ed egoista.
Tra i personaggi storici rievocati c’è anche Gaspard-Félix Tournachon, semplicemente Nadar, il fotografo celebre per aver ospitato nel suo studio la prima mostra degli Impressionisti nel 1874. Il suo amore con la moglie Ernestine fu tutt’altro, rimasero insieme cinquant’anni. Ma per restare in tema di volo, Nadar fu colui che diede inizio alla fotografia aerea, immortalando il mondo dalla cesta di un aerostato.
Julian Barnes si serve della storia per riflettere sulla natura instabile della vita, su come tutto ciò che si ha, e si pensa di avere per sempre, sia, in realtà, suscettibile di una deviazione imprevista, di una caduta improvvisa come quando i fili dell’aerostato non riescono più a bilanciare il peso, quando un’esistenza d’amore vissuta, con fiducia e abbandono insieme, rischia di precipitare.
In trentasette giorni, trent’anni di vita se ne vanno, con tutte le aspettative che il futuro porta con sé:
«personalmente amavo il pensiero della nostra lunga esistenza insieme: quando le cose si fanno più lente e tranquille, quando la memoria diventa una collaborazione. Riuscivo a immaginare me stesso che si prendeva cura di lei; avrei perfino potuto – ma non l’ho fatto mai – immaginarmi nell’atto di scostarle i capelli dalle tempie afasiche, come Nadar, imparare la parte del premuroso infermiere (il fatto che lei avrebbe odiato una simile dipendenza è del tutto irrilevante)».
Tutto cambia. Le abitudini, i luoghi, i tempi e i rapporti con gli altri che finiscono con lo scadere in comportamenti di circostanza o in tentativi discutibili di risollevare chi è rimasto vedovo. Sì, perché la perdita del partner confina in uno status sociale ben preciso, quella della vedovanza, appunto, a cui reagire distraendosi o magari comprandosi un cane. Come se esistesse una reazione standard, come se il lutto prevedesse delle azioni meccaniche.
Livelli di vita sviscera il dolore, racconta la sofferenza nella sua totalità senza sconti e con ironia amara, l’accetta e, alla fine, riesce a scriverne. Barnes, che da ex lessicografo conosce il peso di ogni parola, constata come la gente abbia paura a chiamare certe cose con il loro nome.
Non c’è nemmeno la vergogna ad ammettere di aver pensato concretamente al suicidio, un pericolo scampapa grazie all’esercizio della memoria. Julian non può riportarsi a casa Pat come era stato concesso a Orfeo con la sua Euridice, ma può farla rivivere in ogni istante: «mi resi conto che la misura del suo essere viva era affidata al mio ricordo di lei»
Barnes aveva già riflettuto sul valore della memoria nel precedente Il senso di una fine, in cui, la colpa del protagonista era quella di non ricordare abbastanza. Oggi la memoria serve per combattere la distanza e colmare il vuoto, è un mantra da ripetersi per non lasciare che ciò che è stato si appanni, per tenere saldi i fili dell’aerostato.
Quella di Julian Barnes non vuole di certo essere una lezione, ma una meditazione su che quello che doverosamente bisogna fare quando l’incertezza della vita arriva a sconvolgerne gli esiti.
Social Network