Racconti di Odessa
di Isaak Babel'
Voland
pp. 170
L'edizione dei Racconti di Odessa che ho letto e di cui parlerò è quella edita da Voland nella collana Sírin Classica, con traduzione di Bruno Osimo. Comincio puntualizzando questo perché il libro si inserisce in una collana che programmaticamente si basa sulla correlazione tra l'autore e il traduttore, ai quali è data già paritetica importanza in copertina. Un rapporto di scambio sotterraneo che non si coglie solo negli apparati paratestuali ma che emerge con forza da tutte le scelte editoriali e letterarie.
Il libro inizia con una prefazione di Osimo che vi consiglio di leggere alla fine, dopo aver assaporato i racconti. Godetevi prima l'ironia mista a drammaticità, la musicalità, l'eccezionalità di ambiente e prospettiva di questo testo e poi ripercorretelo a ritroso, mano nella mano col traduttore. Immergetevi nella lettura, apprezzate la ricchezza linguistica e poi tornate ai punti del testo più significativi per coglierne le sfumature. Il lettore, come sottolinea Osimo, "è proclive a pensare di leggere un libro scritto dall'autore dell'originale, quando invece ne sta leggendo un altro, scritto dal traduttore".
Questi Racconti sono la manifestazione del genio letterario di Isaak Babel', nato nel 1894 a Odessa da una famiglia di commercianti e arrestato nel 1939 con l'accusa di attività antisovietica. Torturato e condannato a morte nel 1940, il suo nome venne inserito proprio dalla mano di Stalin nella lista dei "nemici del popolo".
Difficile spiegare a parole perché leggere i Racconti di Odessa; vi racconto i motivi per cui li ho amati io.
Sono unici perché espressione di un mondo affascinante e in gran parte sconosciuto in occidente: l'Odessa di Babel' era una terra di confine, un porto in cui si mescolavano idiomi, abitudini, culture: "da un lato si trovava vicino alla Bessarabia (grosso modo corrispondente con l'attuale Moldavia), aveva contatti tramite il porto con l'Oltrecaucaso (Georgia, Armenia), con Port Said, Istanbul. E il territorio stesso di Odessa ha fatto parte della Russia e dell'Ucraina", come racconta Bruno Osimo.
All'interno di questo mondo esisteva un microcosmo descritto in modo eccezionale: quello della comunità ebraica di Odessa, emarginata, ghettizzata. L'ebraicità era ritenuta altra rispetto alla nazionalità russa, i pogróm (parola che letteralmente significa "distruzione") erano all'ordine del giorno e i personaggi ebrei del libro sono l'incarnazione di un bisogno intimo di rivincita e di legittimazione, a volte manifestato con la violenza, altre con triste rassegnazione, altre incarnato nel possesso di oggetti materiali che diventano simboli di rivalsa e di vendetta.
C'è stato un errore enorme, zia Pesja. Ma da parte di Dio non è stato forse un errore far stare gli ebrei in Russia per farli soffrire come all'inferno? Cosa ci sarebbe di male se gli ebrei vivessero in Svizzera, tra laghi di prim'ordine, aria di montagna e francesi da tutte le parti? Tutti si sbagliano, perfino Dio.
Ho amato i Racconti di Odessa perché ci hanno regalato dei personaggi immortali i quali - sebbene nati in un angolo estremo del mondo - sono l'essenza di passioni e vizi umani. Benja Grid, Korv, Toro, Cinquerubli, Eichbaum impersonificheranno sempre l'Odessa degli anni Venti e Trenta, divisa da lotte di quartiere, scossa dalle persecuzioni, dilaniata dalle differenze insormontabili.
Babel' ha dato voce ai gangster e agli emarginati della Moldavanka, il quartiere in cui è nato, ha raccontato le storie dei bambini ebrei, le loro fatiche per entrare nelle scuole e per essere accettati, la gioia provata nel giocare insieme ai bambini cristiani.
Ho amato i Racconti di Odessa perché racchiudono una ricchezza stilistica infinita a cui Osimo ha reso giustizia e che, con le sue scelte, ha ulteriormente trasformato. I personaggi dicono "Messiè", "Madàm", "Bulvàr", parole che da sole esprimono subalternità, provincialismo, ignoranza. I gansgter arricchiti che si fanno fare gli abiti su misura e si vendicano sui più deboli sono i figli di quella Odessa che li ha generati e li rifiuta insieme, come una madre cattiva.
Ed ecco Bas'ka ha visto alla Moldavanka, nostra madre generosa - una vita piena di neonati ciuccianti, stracci stesi, notti di matrimonio, piene di sciccheria di periferia e di resistenza militaresca alla fatica.
La sera gironzolava intorno alla panchina, l'occhio splendente del tramonto cadeva nel mare dietro a Peresyp', e il cielo era rosso come una data rossa sul calendario.
Claudia Consoli
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