di Giorgio Manganelli
Adephi, 1995
pp. 316
Un singolare
catalogo di micro-storie di genere
fantastico immerse in un’atmosfera surreale e attraversate da una narrazione
astrusa, enigmatica, straniante, in cui la parola sembra sottoposta alla
fascinazione dell’abisso e i personaggi consistono in – tanto per fare qualche
esempio -
un signore a cui avevano rubato l’universo, l’inventore del cigno nero, un candido unicorno, una donna che ha partorito una sfera, la città estremamente povera, la persona che non esiste, un uomo e una donna che s’incontreranno, un drago e un cavaliere, una fata che sbaglia treno, un appassionato dell’attesa.Di questo (e di molto altro ancora) si compone Centuria di Giorgio Manganelli.
Fedele ad un’idea di
letteratura-artificio attraverso la quale il senso delle cose, allargandosi e
deragliando sistematicamente in un lucido delirio autoreferenziale, sembra
frantumarsi e allo stesso tempo ricomporsi in sempre nuove forme, lo scrittore
milanese nel corso della sua produzione si è saputo misurare con eterogenee
tipologie di scrittura in delicato equilibrio tra proliferazioni
espressioniste, innovazione stilistica, e recupero di un’ars retorica applicata alla costruzione di un universo narrativo
autosostantivante e non romanzesco in senso lato. Il suo principale obiettivo
sembra essere stato quello di certificare l’inesistenza del mondo o quantomeno
il suo poggiare su basi di perspicace infondatezza, utilizzando perlopiù uno
stile monologante e ironico, teso a irridere in particolare il genere trattatistico
e nel complesso le piramidi di senso costruite a partire dall’adaequatio rei et intellectus.
In questi cento romanzi fiume, come li definisce
lo stesso autore, Manganelli si cimenta per una volta col racconto, ma lo fa a
modo suo, ossia (tra)vestendo i suoi protagonisti da figure funzionali al gioco
combinatorio di un mazzo di carte, e facendole sfilare in un corteo di
astrattezza mentale montante sulle rovine
del soggetto. La lettura di Centuria può
avvenire dunque in maniera capricciosa, altalenante, discontinua, anche se lo
sviluppo apparentemente divagatorio presuppone in realtà un’architettura
regolare (il primo e l’ultimo racconto parlano di qualcuno che scrive) delineata
su suggestioni che sollevano questioni perturbanti, a volte piene di sovraccarico
simbolico, altre vuote di consistenza mimetica, inconciliabili comunque con un
andamento lineare degli e(ve)nti di riferimento; in ogni caso tali suggestioni
si avvalgono del fantastico non come semplice strategia di genere ma in qualità
di miscela esplosiva capace di sfociare in discorso
antirealistico.
Nei cento brevi
racconti, tutti rigorosamente della lunghezza di una pagina e mezza, Manganelli
coltiva la non facile arte della sintesi fulminante, dell’invenzione
estemporanea - perfettamente autonoma - che si affaccia sul baratro della sconclusione; toglie la maschera alla narrativa
tradizionale, navigando dalle parti dell’antiromanzo,
sulle torpide acque dell’allegoria vuota;
scava una deliziosa voragine nella quale è magnifico perdersi (la voragine
compare nella centuria settantaquattro).
L’atmosfera di
questo libro si scopre sospesa, straniante, sortilega, in costante oscillazione
tra ordinario e onirico, quotidiano e visionario. La creazione di universi
paralleli, di irrealtà vertiginose e paradossali, di allucinazioni affannose ma
anche sorridenti, miranti a caratterizzare l’invenzione narrativa come espressione
di un indeterminato, inesauribile ed enigmatico rinvio – contribuisce a
plasmare il racconto come itinerarium
mentis, caos immaginifico e difforme dal quale diramano estensioni di
innumerevoli e innominabili proto/pseudo io sospesi tra il richiamo all’ordine
e la propensione al caos immaginifico.
Uscito nel 1979, Centuria rivela insomma un microcosmo
fantastico popolato di esseri deformi non tanto nel senso fisico, quanto in
prospettiva esistenziale: più che creature del fantastico tradizionale o del
suo equivalente moderno, esse finiscono per appartenere a un universo
allucinato nel quale la linea di confine tra immaginario e assurdo sembra
confondersi e incrinare la percezione del reale, introducendo un’esperienza di
smarrimento/disorientamento. Il fantastico, il soprannaturale e il meraviglioso
infatti, seppur presenti, si offrono come mise
en abyme, come semplice e indispensabile chiave di volta su cui collocare
caratteri molto più vicini alle inquietudini contemporanee che ai
goticheggianti spettri ottocenteschi.
Se da un libro ci si
aspetta consequenzialità narrativa, esposizione lineare di eventi, azione
mimetica disegnata sullo scenario del verosimile, dialoghi serrati e vicende
incalzanti, allora meglio rivolgersi altrove, magari nelle vicinanze di un
autogrill o di un centro commerciale. Manganelli è lo spauracchio del lettore
delle saghe, di quello che ama le investigazioni criminali (e non quelle
dell’inconscio), di chi legge con il fiato sospeso e pretende emozioni forti,
suspense, sentimenti, passioni e confessioni più o meno autobiografiche. Nelle
pagine di Centuria si assapora invece
un retrogusto cerebrale (o intellettuale, se questo termine non desse quasi
fastidio al giorno d’oggi) capace di restituire una sorta di estetica del
disagio contemporaneo, aggiustata con gradevole sofisticazione e manipolata
secondo combinazioni attive soprattutto sull’urgenza del significante; ci
s’imbatte in un linguaggio attraverso il quale l’espediente narrativo sa interagire
con la cura espressiva e la ricerca formale, tra intrecci fantasmatici, spiazzanti
impressioni caricaturali, paradossali e insieme tragici esperimenti di ordinare
meticolosamente rappresentazione grafica e proiezioni mentali. Insomma, siamo
in presenza di quella forma di comunicazione denominata opera letteraria che
secondo Manganelli
è un artificio, un artefatto di incerta e ironicamente fatale destinazione. L’artificio racchiude, ad infinitum, altri artifici; una proposizione metallicamente ingegnata nasconde una ronzante metafora; disseccandola, metteremo in libertà dure parole esatte, incastri di lucidi fonemi. Nel corpo della proposizione, le parole si dispongono con disordinato rigore, come astratti danzatori cerimoniali. […] Il destino dello scrittore è lavorare con sempre maggiore coscienza su di un testo sempre più estraneo al senso. Frigidi esorcismi scatenano la dinamica furorale dell’invenzione linguistica.
L’edizione Adelphi comprende anche una sezione di altre centurie (venti già apparse in rivista e undici inedite, secondo un
più che probabile progetto dell’autore di pubblicare una seconda Centuria), otto racconti scartati da
Manganelli, una chiosa dello stesso Manganelli che accompagnava la prima stampa
del 1979, una nota al testo di Paola Italia, e la presentazione al pubblico
francese scritta da Italo Calvino nel 1985.
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