Una legge può proibire di essere genitori? Non chiedermi come sei nata è il romanzo d’esordio di Annarita Briganti, in cui delusioni e paure della protagonista sono quelle di tante donne alle prese con il doloroso iter della fecondazione assistita.
Freelance culturale di Repubblica, Annarita è una di quelle giornalista che hanno intervistato praticamente tutti gli autori più noti della scena internazionale.
Anche Gioia Lieve, la protagonista del libro, scrive. È una firma apprezzata del suo quotidiano, sempre presente ai festival e alle feste editoriali. Ha un fisico da ragazzina malgrado si avvicini ai quaranta, corre le maratone, gira in bici per Milano, la sua amatissima città d’adozione, e ha un compagno storico, Uto.
Quando si dice che tutto cambi da un momento all’altro si dice la verità. Gioia viene travolta dagli eventi che succedono inaspettatamente e, contro ogni previsione, non è più la stessa donna.
Quale frattura attraversa l’anima di Gioia? Quella di un aborto improvviso senza nemmeno sapere di essere in attesa. Spesso la perdita di un bambino non è un fatto isolato, ma il primo segnale che qualcosa non va, come per Gioia che scoprirà di non poter procreare.
Dopo l’aborto il desiderio di maternità diventa sempre più insistente portandola a sottoporsi a cure estremamente invasive:
I mesi di iniezioni risultano inefficaci: Gioia non può avere figli insieme al compagno se non ricorrendo a cliniche estere in cui non esistono i limiti della Legge 40.
A complicare le cose c’è la rottura con Uto, una fine che prima o poi sarebbe arrivata per la coppia, ma che lascia Gioia sola in preda ai propri fantasmi, addirittura sfiorata dal pensiero del suicidio.
La salvano gli amici, l‘ambiente culturale che frequenta anche con i chili di troppo delle cure ormonali, un nuovo amore, Alberto, che non si capisce dove la porterà ma soprattutto la scrittura:
Il romanzo di Annarita Briganti è dedicato anche a chi oggi prova a vivere facendo cultura. Gioia è vittima del precariato, ama il suo lavoro consapevole di esserci riuscita senza spinte e con l’entusiasmo di chi è convinto che il sapere sia l’unico mezzo con cui evitare il declino. Tuttavia per mantenersi lavora part time come segretaria in uno studio notarile, un lavoro necessario, di sussistenza, perché con la sola creatività non si campa.
Con Non chiedermi come sei nata Annarita Briganti si assume un incarico pesante cioè quello di affrontare un discorso che in Italia resta inaccettabile non solo perché la legge lo proibisce, ma perché in genere si guarda a certe questioni con sospetto e pregiudizio, frutto di una morale della mortificazione anziché della vita.
Lo scorso anno già Simona Sparaco aveva fatto luce sull’aborto terapeutico nel suo libro Nessuno sa di noi, un successo di vendite e finalista al Premio Strega. Anche in quel caso si tratta di un libro coraggioso e necessario che denuncia l’impossibilità nel nostro paese di scegliere per se stessi e per i propri figli.
A proposito di fecondazione è la Legge 40 a mettere dei paletti severi ai diversi metodi procreativi vietando in assoluto la fecondazione eterologa, cioè l’utilizzo di ovuli o seme di donatori esterni. In questo modo si preclude la nascita di un figlio a coppie con problemi di sterilità, coppie omosessuali e single.
Scrive Annarita Briganti:
Dopo la fine della storia con Uto e il nuovo amore Alberto, che, per la cronaca, sta per sposarsi, Gioia decide di intraprendere la strada verso la maternità da sola all’estero:
In un finale che sembra un inizio troviamo Gioia, a un anno dall’aborto, in una clinica spagnola pronta ad affrontare un cammino ancora da scoprire.
Non chiedermi come sei nata sarà, forse, la risposta che riserverà a una figlia nata dall’unico grande desiderio di una donna nevrotica e caparbia di essere madre.
Non resta che attendere di sapere cosa accadrà.
Freelance culturale di Repubblica, Annarita è una di quelle giornalista che hanno intervistato praticamente tutti gli autori più noti della scena internazionale.
Anche Gioia Lieve, la protagonista del libro, scrive. È una firma apprezzata del suo quotidiano, sempre presente ai festival e alle feste editoriali. Ha un fisico da ragazzina malgrado si avvicini ai quaranta, corre le maratone, gira in bici per Milano, la sua amatissima città d’adozione, e ha un compagno storico, Uto.
Quando si dice che tutto cambi da un momento all’altro si dice la verità. Gioia viene travolta dagli eventi che succedono inaspettatamente e, contro ogni previsione, non è più la stessa donna.
Quale frattura attraversa l’anima di Gioia? Quella di un aborto improvviso senza nemmeno sapere di essere in attesa. Spesso la perdita di un bambino non è un fatto isolato, ma il primo segnale che qualcosa non va, come per Gioia che scoprirà di non poter procreare.
Dopo l’aborto il desiderio di maternità diventa sempre più insistente portandola a sottoporsi a cure estremamente invasive:
«Come mi sono ridotta per restare incinta? Lividi sulla pancia, le cosce tonde, il sedere esploso. Da quando soffro di aborti ricorrenti e crisi di pianto? Siamo sicuri che non ci sia uno scambio di persona? Restituitemi i sogni della vita precedente».
I mesi di iniezioni risultano inefficaci: Gioia non può avere figli insieme al compagno se non ricorrendo a cliniche estere in cui non esistono i limiti della Legge 40.
A complicare le cose c’è la rottura con Uto, una fine che prima o poi sarebbe arrivata per la coppia, ma che lascia Gioia sola in preda ai propri fantasmi, addirittura sfiorata dal pensiero del suicidio.
La salvano gli amici, l‘ambiente culturale che frequenta anche con i chili di troppo delle cure ormonali, un nuovo amore, Alberto, che non si capisce dove la porterà ma soprattutto la scrittura:
«La scrittura allontana perfino il dolore di non avere figli».
Il romanzo di Annarita Briganti è dedicato anche a chi oggi prova a vivere facendo cultura. Gioia è vittima del precariato, ama il suo lavoro consapevole di esserci riuscita senza spinte e con l’entusiasmo di chi è convinto che il sapere sia l’unico mezzo con cui evitare il declino. Tuttavia per mantenersi lavora part time come segretaria in uno studio notarile, un lavoro necessario, di sussistenza, perché con la sola creatività non si campa.
Con Non chiedermi come sei nata Annarita Briganti si assume un incarico pesante cioè quello di affrontare un discorso che in Italia resta inaccettabile non solo perché la legge lo proibisce, ma perché in genere si guarda a certe questioni con sospetto e pregiudizio, frutto di una morale della mortificazione anziché della vita.
Lo scorso anno già Simona Sparaco aveva fatto luce sull’aborto terapeutico nel suo libro Nessuno sa di noi, un successo di vendite e finalista al Premio Strega. Anche in quel caso si tratta di un libro coraggioso e necessario che denuncia l’impossibilità nel nostro paese di scegliere per se stessi e per i propri figli.
A proposito di fecondazione è la Legge 40 a mettere dei paletti severi ai diversi metodi procreativi vietando in assoluto la fecondazione eterologa, cioè l’utilizzo di ovuli o seme di donatori esterni. In questo modo si preclude la nascita di un figlio a coppie con problemi di sterilità, coppie omosessuali e single.
Scrive Annarita Briganti:
«Nessuno pensa alla nostra salute. Bisogna essere disperati per cercare un figlio in laboratorio. Io e le mie sorelle di provetta dovremmo partorire a casa, non chissà dove, in cliniche per ricchi, oppure dovremmo poter adottare senza ostacoli. Il turismo procreativo è generato da uno Stato ingiusto, non dalla nostra ossessione».
Dopo la fine della storia con Uto e il nuovo amore Alberto, che, per la cronaca, sta per sposarsi, Gioia decide di intraprendere la strada verso la maternità da sola all’estero:
«Se sei una donna single in Italia e cerchi un figlio, sparati».
In un finale che sembra un inizio troviamo Gioia, a un anno dall’aborto, in una clinica spagnola pronta ad affrontare un cammino ancora da scoprire.
Non chiedermi come sei nata sarà, forse, la risposta che riserverà a una figlia nata dall’unico grande desiderio di una donna nevrotica e caparbia di essere madre.
Non resta che attendere di sapere cosa accadrà.
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