di Ekaterina Josifova
Premio Ciampi Valigie Rosse 2013
p. 79
Ekaterina
Josifova è una delle voci più importanti della poesia bulgara contemporanea. Autrice
che ha alle spalle già tredici raccolte poetiche. Artista da anni impegnata in
un’operazione di “ribaltamento nel canone letterario bulgaro”, come ha scritto
Mitko Novkov nella prefazione al nostro libro. Poetessa autentica, fonte d’ispirazione
per le nuove generazioni.
La pioggia fuori è l’antologia realizzata per la
sezione straniera dell’edizione 2013 del “Premio Ciampi”. Il
premio, inaugurato nel 2010 dal progetto editoriale Valigie Rosse, che prevede
la pubblicazione di due libri; “una plaquette inedita di un poeta
italiano e un’antologia o raccolta di un poeta straniero”. Volumi molto
eleganti sia dal punto di vista estetico che editoriale, che compongono la
piccolissima ma estremamente raffinata collana diretta da Paolo Maccari e
Valerio Nardoni.
La
raffinatezza però è sempre una questione di metodo e di qualità. Per questo
motivo alla realizzazione dell’antologia ha partecipato una squadra di indubbio
valore; dal curatore Juan Antonio Bernier, poeta e fine conoscitore della
poesia bulgara, al già citato prefatore Mitko Novkov, dalla giovane e ottima
traduttrice Alessandra Bertuccelli, ai due poeti Andrea Inglese e Giacomo
Trinci, che hanno fornito una preziosa collaborazione. Non poteva che venirne
fuori un lavoro di altissimo livello.
Veniamo
adesso alla cosa più importante, la poesia. Una poesia semplice e diretta, di
quella semplicità complessa che arriva alla fine di un lungo lavoro di lima, ma
che arriva dritta come una freccia, in profondità. Che scava e corrobora. Una
poesia lucidissima, che cerca i propri nodi in un’interiorità pacata e
sommessa, che addomestica il disagio e il dolore dentro gesti genuini ed
essenziali, dentro immagini quotidiane, mai forzate, dentro un tessuto
riflessivo mai troppo esibito. E sono nodi e temi importanti, che toccano la
sfera degli affetti familiari, dei legami amorosi, del rimpianto per l’infanzia
e per la vita che ci scivola tra le dita, della morte con i suoi fantasmi,
della lotta contro la soppressione e la brutalità del mondo. D’altronde la
Josifova fa parte di quel movimento poetico che il critico Plamen Dojnov definì “nov avtentizam”, ovvero nuova autenticità.
Autenticità verso cui è tesa tutta la
raccolta, con sforzo magistrale. Autenticità che diventa anche valore
esistenziale, piena consapevolezza della vita, delle sue salite e delle sue
discese, dei suoi sbalzi. Sono versi che accarezzano le cose, passano accanto
al mondo come un soffio e mettono in scena un gesto rappresentativo mai
violento, mai eccessivo. Eppure sono versi che bruciano per la voglia di dare
un senso alle cose, primitivo e naturale, arsi dal desiderio di illuminarle, di
trovare riposo (…hai detto: niente è più bello della ragione,/ ma la ragione
della ragione sono i sentimenti./ Hai detto: non temere./ Alla giovinezza non
ci siamo abbandonati,/ neanche alla vecchiaia).
Sono poesie che tengono il lettore
per mano, che lo accompagnano lungo il percorso, che gli sussurrano
all’orecchio, che lo conducono verso un giaciglio sicuro; la poesia stessa. In
questo senso il testo che dà il titolo alla raccolta diventa emblematico (Picchietta,
s’infittisce./ È piacevole/ che t’arrivi qualcuno un po’ così/ da lontano,
dall’alto); c’è già la contrapposizione tra un fuori incupito e inospitale
e il dentro, suggerito per contrapposizione, che offre ricovero, luogo di
conforto e ristoro. Un dentro che è il proprio intimo ma anche la poesia
stessa. C’è quindi il senso di una verticalità endogena che mette i due poli in
costante comunicazione, che risolve la tensione in maniera improvvisa e
riappacifica l’animo dentro la parola, riparo e forza rivelatrice. Ma sono anche
testi che spesso concedono al processo riflessivo delle repentine impennate
ironiche, capaci di investire a volte anche il senso stesso della scrittura (Ha
scritto quella poesia/ le miserie di prima gli abbiamo perdonato/ ne ha fatte
di nuove/ non gli abbiamo perdonato la poesia).
E però anche questi scossoni vengono
subito riassorbiti, addomesticati dentro una poetica sempre composta e sotto
controllo, dentro immagini che sfumano verso un orizzonte sereno e confortante
(Non è così vicino, come può capire uno/ che è un grido umano?/ Può essere
un uccello notturno o un uccello in generale/ che imita/ il grido umano, un
uccello canterino/ o qualcosa di totalmente diverso, ad esempio/ un grido
umano/ immaginato…).
In definitiva la poesia di Ekaterina
Josifova mette in scena in maniera intima e sottile il rapporto di forze e il
duello tra un’ansia astratta, che viene da lontano, che si muove tra gli angoli
e la serenità distesa delle cose, delle persone, dei rapporti umani, animata da
una fiducia estrema nel verso e nella parola, nella sua capacità di toccare le
cose e di nutrirle di un significato tangibile, di una resistenza assoluta,
sempre concreta e mai volubile (Per il vivere/ per la mancanza di autorità/
per i movimenti/ ovunque vadano./ Per il vero/ più grande delle verità).
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