Stalin + Bianca
di Iacopo Barison
Tunuè, 2014
pp. 175
Così capimmo una cosa. La meta è nulla rispetto al gerundio dell'andare.
Comincio citando Paolo Rumiz (L'Oltre e l'Altro, UTET, 2014) perché la sensazione più forte che ho provato durante la lettura di Stalin + Bianca è la percezione del viaggio, la particolare emozione che si prova quando abbandoni un posto per scoprirne mille altri, fosse anche un viaggio che alla fine ti riporta al punto di partenza. Il romanzo di Iacopo Barison, che fa parte della nuova collana di narrativa di Tunuè curata da Vanni Santoni, è la storia di un viaggio e di tutti i sentimenti che stanno dietro all'esigenza di mettersi in cammino, primi tra tutti l'amore e la paura.
Stalin + Bianca è come una formula, un'equazione necessaria fatta di due elementi che non potrebbero che stare insieme: un ragazzo e una ragazza perfettamente complementari.
Lui ha diciotto anni, soffre di crisi che lo portano a non controllare la rabbia e il suo soprannome deriva dai baffi che lo fanno somigliare al noto dittatore. Lei è di una bellezza fragile e delicata e, pur non vedendo il mondo attorno a sé perché cieca, ha tutta la forza necessaria per guidarlo laddove è lui a non vedere.
Stalin e Bianca si muovono dentro una società di persone che si annullano e si sciolgono come la neve sporca ai lati delle strade, afflitte da tossicodipendenza, incapaci di parlarsi e di incontrarsi, pronte ad aggredirsi e poi scappare. Barison ci trasporta in un mondo che non ha bisogno di coordinate geografiche - non nomina mai il paese in cui è ambientato il romanzo né la sua capitale - trasfigurato ma dai contorni (purtroppo) riconoscibili. Non è semplice distopia fantastica: è un mondo di esseri umani sempre meno umani a cui potremmo presto arrivare.
Lui ha diciotto anni, soffre di crisi che lo portano a non controllare la rabbia e il suo soprannome deriva dai baffi che lo fanno somigliare al noto dittatore. Lei è di una bellezza fragile e delicata e, pur non vedendo il mondo attorno a sé perché cieca, ha tutta la forza necessaria per guidarlo laddove è lui a non vedere.
Stalin e Bianca si muovono dentro una società di persone che si annullano e si sciolgono come la neve sporca ai lati delle strade, afflitte da tossicodipendenza, incapaci di parlarsi e di incontrarsi, pronte ad aggredirsi e poi scappare. Barison ci trasporta in un mondo che non ha bisogno di coordinate geografiche - non nomina mai il paese in cui è ambientato il romanzo né la sua capitale - trasfigurato ma dai contorni (purtroppo) riconoscibili. Non è semplice distopia fantastica: è un mondo di esseri umani sempre meno umani a cui potremmo presto arrivare.
Stalin + Bianca non è solo una storia di adolescenza, parla di personaggi di tutte le età che non smettono di sentirsi inadeguati e popolano gli spazi di città troppo piene di insegne luminose e di fast food, eppure paurosamente vuote. E dietro l'inadeguatezza sta sempre la paura.
La scrittura dell'autore, già matura e molto riconoscibile, si costruisce per accumulazione, come fosse la registrazione di frammenti di realtà sfuggente. Non è un caso, infatti, che Stalin cerchi di dare un senso alla realtà attraverso una videocamera. Mentre lui gira cortometraggi, Bianca compone poesie che non mette su carta ma registra e poi riascolta; l'Arte ha ancora un valore in un mondo ridotto a brandelli e i giovani sembrano gli unici ad accorgersene.
Barison, che a soli venticinque anni ha già pubblicato due romanzi e ha all'attivo diversi racconti e articoli su siti e riviste, dimostra notevole capacità di raccontare la periferia - non solo quella dei grandi centri urbani ma quella dell'esistenza umana - e i suoi contrasti.
Fuori è un eterno inverno, i ragazzi non conoscono più gli arcobaleni, ma in sottofondo le note di What a wonderful world ci ricordano che, anche attraverso dei vetri sporchi, è possibile immaginare un mondo a colori.
Claudia Consoli
Barison, che a soli venticinque anni ha già pubblicato due romanzi e ha all'attivo diversi racconti e articoli su siti e riviste, dimostra notevole capacità di raccontare la periferia - non solo quella dei grandi centri urbani ma quella dell'esistenza umana - e i suoi contrasti.
Fuori è un eterno inverno, i ragazzi non conoscono più gli arcobaleni, ma in sottofondo le note di What a wonderful world ci ricordano che, anche attraverso dei vetri sporchi, è possibile immaginare un mondo a colori.
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