Stronzology.
Gnoseologia della dipendenza dagli stronzi
di
Amleto De Silva
LiberAria,
2014
pp.
175
€ 10,00
Quando
andavo all'Università, erano quasi riusciti a convincermi che le
parole servissero a capire le cose. Avete presente, no?, tutte quelle
storie sul logos che è parola e anche ragione, e sul verbo
che è anche Verbo e quindi Dio, e tutto il resto. Poi, lasciandomi
alle spalle il fatato regno dell'Accademia per il più terragno mondo
del lavoro, ho capito che il vero scopo delle parole è un altro:
fregare la gente. Quando in ufficio senti dire: "Bisogna fare
una chiacchierata con il cliente", significa che sta per
arrivare un tizio il cui destino è essere avvolto da una nube purpurea di
ciarle così fitta e densa e ottundente da prostrarne la mente ad un
livello di prona obbedienza che non vada oltre l'articolazione di un semplice "Sì". È proprio la prima cosa che ho imparato negli
uffici: "chiacchierata", nel mondo vero, sta per
"inculata". Chi possiede il potere della parola, possiede
il mondo. Già, ma chi possiede il potere della parola?
Semplice:
gli stronzi.
Stronzology,
il nuovo libro di Amleto De Silva, è un'indagine filosofica sul
concetto di "stronzo" e le sue varie manifestazioni
concrete, svolta non in forma di manualetto di auto-aiuto, ma nei toni
e nelle modalità di una conversazione da aperitivo: multiforme,
variegata e divertentissima. E proprio nel legame stretto e
indissolubile che sussiste tra gli stronzi e l'uso accorto e sirenico
della parola, che percorre il volumetto dall'inizio alla fine, sta
uno dei fulcri dell'indagine.
Pensateci: cos’è che abbiamo noi e che manca agli animali? La parola, giusto? E cos’abbiamo noi che gli animali non hanno? Ve lo dico io: gli stronzi. Ci sono animali violenti, animali dispettosi, animali feroci, cattivi, farabutti, disgraziati, perfino simpatici e antipatici, ma animali stronzi, no. Perché gli animali non parlano, non comunicano tramite sovrastrutture masturbatorie: si mangiano tra loro, fanno l’amore, si prendono e si lasciano, magari soffrono, ma almeno non si prendono per il culo tra loro.
Non
ci si pensa mai abbastanza, ma la parola è l'arma più letale di cui
l'uomo dispone: crea e disfa, plasma, distorce, convince, dissuade. Lo
sapevano bene i retori dell'antica Roma, per dire, e pure la Chiesa,
che sulla Parola ci ha costruito una carriera plurimillenaria. E lo
sanno benissimo soprattutto gli stronzi, che delle parole si armano
come di lancia e scudo per ottenere sempre e comunque l'unico
risultato che davvero sta loro a cuore: soddisfare i propri bisogni
ed esigenze ed imporre la propria volontà. Va da sé che
ottenere un simile risultato non si può senza la connivente
complicità di una spalla adeguata che reciti il gioco della
controparte, e appunto qui entra in gioco l'altro elemento
dell'equazione: i cretini. Che, costituendo la maggior parte della
popolazione italiana (De Silva stima un rapporto cretini – stronzi
di 80 a 20), forniscono un terreno di caccia
opportunamente vasto e fertile su cui imporre il proprio predominio
assoluto.
Inoltre,
guarda caso, i cretini sono debolucci proprio in quella particolare
arte che serve a inguaiarli: sempre l'uso della parola. Non è mica
poco, perché parola e pensiero sono collegati, e così
pure pensiero e azione. Se hai un vocabolario limitato, sarà
limitato anche il tuo pensiero: e ad un pensiero limitato corrisponde
un agire da caprone. E i caproni, si sa, non fanno mai una bella
fine, quando in giro ci sono i lupi; soprattutto quando fanno finta
di non vederli, il che succede spessissimo.
Siccome non vogliamo vedere gli stronzi, ci rifiutiamo di ammettere la loro stessa esistenza, perché la cosa ci obbligherebbe a fare i conti con la nostra vita, ad analizzare le nostre capacità di reazione, la nostra stessa coerenza umana, allora ricorriamo ai trucchi più svariati per coprirci gli occhi.
Da
Hitler al panettiere sotto casa, i più grandi stronzi dell'umanità
si sono sempre serviti della debolezza degli avversari per affermare
la propria superiorità. Ma il bello della loro natura è che,
partendo da un medesimo principio unificatore, la loro specie ha
saputo differenziarsi in una moltitudine di forme ingannatrici, tutte
benevole all'apparenza e letali nella sostanza. Da buon filosofo,
dopo aver fornito le leggi che ne identificano le caratteristiche
essenziali, De Silva procede a classificare i dieci tipi di stronzo
che è sempre meglio saper riconoscere, e ce n'è per tutti: dallo
stronzo simpatico, che si fa bello a spese tue e tu non puoi dire
niente perché rischi di passare per stronzo tu, a quello
condominiale, che stabilisce la propria dittatura nel condominio
rovinandoti la vita anche a casa tua; da quello che lo fa "per
il tuo bene" a quello che lo fa per interposta persona,
dall'artista all'organizzatore, e così via.
Non
che riconoscerli porti tutto questo vantaggio: quando gli stronzi
hanno individuato una vittima, è quasi impossibile fuggire. Però
qualcosa si può sempre fare. De Silva consiglia essenzialmente due
metodi con cui è
possibile prevenire, se non curare, la malsana piaga che ci affligge.
Il primo è "alzare l'asticella", ovvero
Diventate esigenti, per il vostro stesso bene. Cominciate a pretendere dalle persone che vi circondano, degli standard alti [...] una società che ascolta musica di merda, che guarda film di merda, e legge (e pubblica) libri di merda, è il terreno preferito degli stronzi. Voi abbassate gli standard, che è come aprire la porta di casa quel tanto che basta perché loro ci infilino dentro il piede, come i venditori porta a porta delle barzellette.
Il
secondo è non cedere alle lusinghe dell'opportunismo (altrimenti
diventate stronzi pure voi) e mantenere ferma la propria etica, anche
negli affari:
Se voi, anche negli affari, avete un’etica, e restate brave persone, cominciate a pretendere altrettanto dalle persone che vi stanno vicino.
Sono
delle ottime regole, e basterebbero anche solo queste due brevi
citazioni a togliervi dalla testa, nel caso dovesse esservi
frullata, l'idea che Stronzology sia un libro frivolo solo
perché ha un titolo che fa ridere e un impianto espositivo
improntato alla leggerezza del discorso. Tutt'altro. Stronzology
è un libro che affronta in modo articolato un problema sempre più
diffuso e reale (basta farsi un giro su Facebook per accorgersene);
anzi, io mi sono stupito, leggendolo, che torme di scienziati
negli ultimi anni si siano chiusi sotto i monti a elaborare strategie
evolutive per garantirci la sopravvivenza come specie in caso di
Apocalisse Zombie, e nessuno si sia mai posto il problema di cosa
fare in caso di Apocalisse Stronzi.
Senza
contare che De Silva non lesina di arricchire il suo discorso con
esempi, aneddoti, storie di vita vissuta, paragoni musicali,
citazioni letterarie e cinematografiche; per dire, in una sola pagina
trovate citati uno dietro l'altro Mario
Monicelli e Marcello Mastroianni, Grattachecca e Fichetto, Zygmunt
Bauman e Thomas Hobbes. E non si tratta di citazioni buttate lì in
modo accademico o pedante, ma sempre come se fossimo tutti a un
tavolino con davanti un Negroni o qualsiasi cosa beviate voi, e ci
stessimo facendo tutti una bella chiacchiera (non nel senso che ho
usato nel primo paragrafo di questa recensione).
Insomma,
un libro che vuole far "sorridere e riflettere", come
dichiara lo stesso De Silva, e che con me è riuscito benissimo in
entrambi i suoi intenti (più che sorridere, in effetti, a tratti mi
ha fatto esplodere, anche in luogo pubblico). Leggerlo è stato un
po' come mettersi gli occhiali da sole di John Nada, il protagonista
di Essi vivono di Carpenter: quegli occhiali speciali che, una
volta indossati, ti mostrano il mondo per com'è realmente,
tappezzato di messaggi subliminali che incitano al consumismo e
all'obbedienza e popolato di alieni travestiti da esseri umani.
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