di Sara Rattaro
Garzanti, 2014
pp. 200
€ 14.50
Perdonami, Margherita. Non ero preparato. Ho sempre creduto che il mio compito sarebbe stato difficile, ma non così. Potevo spiegarti la matematica, insegnarti a saltare la corda e andare in bicicletta, magari mi sarei annoiato ai tuoi saggi di danza e ti avrei sgridato se non avessi rispettato gli orari o avessi iniziato a fumare. Credevo che mi sarei limitato a spiegarti cos’è l’amore anche quando tutto ti fosse sembrato impossibile, e che le persone migliori al mondo spesso possono fare molto male, o sbagliare, ma questo non le rende peggiori di noi; che mi sarei seduto in prima fila il giorno della tua laurea e che, tra milioni di giovani donne, tu mi saresti sembrata la più bella e che magari un giorno ti avrei accompagnato all’altare e avrei fatto tutte quelle stupide raccomandazioni che fanno i padri a un ragazzo con gli occhi terrorizzati ma pieni di te. Ti avrei spiegato il significato del fallimento, della perdita e della resa, ma avrei condiviso ogni tuo successo, ogni tua scelta e ogni tua vittoria. […] Come sembrano banali ora tutti questi pensieri e come sanno fare male se li allinei uno dietro l’altro.
Francesco e Margherita: un uomo a cui viene negato il diritto di essere padre, una figlia adolescente la cui vita viene improvvisamente sconvolta dalla perdita della madre e dall’arrivo di quel “papà italiano” che non conosce dopo che, dieci anni prima, la ex moglie aveva lasciato l’Italia e l’uomo con cui era sposata per tornare in Danimarca, impedendo a Federico ogni contatto con la figlia amatissima. Un caso di sottrazione internazionale di minore come sporadicamente ci racconta la cronaca, quando magari un coniuge esasperato dalla situazione in stallo decide di compiere un gesto estremo; Sara Rattaro, col suo tradizionale misto di poesia e potenza, sceglie di raccontare una storia ispirata alla realtà di quei padri mancati, che un giorno si vedono sottratti i propri figli, spariti dietro la burocrazia di un paese straniero e abbandonati dalle istituzioni italiane che non riescono ad intervenire. Sarebbe stato facile per uno scrittore inventare colpe, rancori e liti che hanno portato alla rottura del matrimonio, immaginare quegli anni di vuoto che Francesco ha passato facendo la spola tra l’Italia e la Danimarca, gli sporadici incontri permessi con la figlia sotto la supervisione degli assistenti sociali, la frustrazione e la rabbia di un uomo a cui è stata portata via, improvvisamente e senza motivo, una figlia che lentamente si sta dimenticando di lui. Sarebbe stato facile, ma forse anche scontato.
Quello che invece Sara Rattaro regala ai suoi lettori non è il messaggio pieno di rabbia di un uomo e una donna che hanno smesso di amarsi e le conseguenze che le scelte dei genitori hanno inevitabilmente sui figli; il punto di vista dell’autrice si sposta invece nel momento in cui Francesco ha l’occasione di riportare a casa, in Italia, la sua Margherita ormai adolescente, che ha tragicamente perso la madre in un incidente d’auto. Prima che intervenga lo stato danese, quell’uomo che per Margherita è un estraneo, riesce a portare la figlia nel paese in cui è nata, con l’intenzione di trovarle un posto in quella vita che si è costruito senza di lei, il cui vuoto è rimasto così prepotente ad occupare mesi e anni costretti alla lontananza. E nel narrare la storia di un padre e una figlia che imparano a conoscersi, l’autrice costruisce un racconto a due voci in cui le parole di Francesco si alternano a quelle di Margherita per restituire così al lettore tutta la complessità di due vite che cercano di comprendersi e fondersi. C’è poesia, emozione, potenza e sentimento in ogni parola del romanzo della Rattaro, narratrice esperta di legami e fragilità quotidiane, capace di raccontare una storia d’amore come questa senza cedere a facili sentimentalismi.
Al centro della narrazione ovviamente il tema, probabilmente affrontato per la primissima volta in un romanzo italiano, della sottrazione internazionale di minori: il racconto per flashback dei tentativi di Francesco durante gli anni di lontananza per vedere la figlia, le difficoltà quotidiane e la frustrazione, e soprattutto il difficile inserimento di una Margherita adolescente nella vita di un uomo che dopotutto non conosce, vivere in punta di piedi per la paura di sbagliare e rischiare che quella figlia silenziosa si chiuda ancora di più. Ma intorno ad esso si dipanano mille altri spunti, tutti a loro modo funzionali alla storia e soprattutto motivo di riflessione per il lettore accorto. Sono le difficoltà di inserimento di un’adolescente in una nuova scuola in cui è la straniera (pur parlando perfettamente italiano ed essendo nata in questo paese), il dolore profondo che si porta dentro e che trova la via sbagliata per essere esternato, i dubbi e le insicurezze riguardo a quel pesante vissuto che non comprende; per Francesco le difficoltà nelle relazioni affettive, l’incapacità di venire a patti con il passato evitando di ferire la compagna che gli è rimasta accanto in tutti quegl’anni in attesa di Margherita, la critica profonda alle istituzioni italiane che non sanno combattere le battaglie dei propri cittadini.
Scopriamo la storia di Francesco e Margherita, ci interroghiamo su un fenomeno purtroppo in crescita con cui è necessario fare i conti, nella speranza che anche le istituzioni scelgano di mostrarsi più autorevoli e forti in questa battaglia, e parallelamente la vicenda si apre ad altri spunti, mentre anche il quadro dei personaggi “secondari” popola il mondo di padre e figlia.
Su tutti, spiccano due figure femminili diverse ma entrambe fondamentali: Ingrid, la donna che in Danimarca si è presa cura di Margherita come una madre quando Angelika era troppo assente, egoista o immatura per badare alla figlia, una donna così materna, equilibrata e concreta, da cui la ragazza non accetta di separarsi nemmeno dopo il suo arrivo in Italia; ed Enrica, la compagna di Francesco, la scienziata buffa e stravagante che in modo spontaneo ed immediato trova una connessione con quell’adolescente educata e silenziosa che si porta dietro un carico emotivo pesantissimo. Due donne che, ognuna a loro modo, rappresentano per Francesco punti di riferimento imprescindibili ed è anche grazie a loro che cercherà nei primi mesi di questa nuova vita ad avvicinarsi alla figlia ritrovata. È una storia in cui ovviamente anche le madri - biologiche, putative, mancate- sono figure centrali ed è inevitabile riflettere sul personaggio di Angelika, evocata solo nel ricordo eppure fantasma che inevitabilmente attraversa tutto il racconto: una donna immatura, a tratti egoista e scostante, che inspiegabilmente sceglie di lasciare un marito che non ama più portandogli via la figlia, inventando storie orribili sull’ex, incapace di stare sola che si lega ad uomini di passaggio, i tanti “padri” che transitano brevemente nella vita di Margherita. Ma Angelika non è una donna cattiva, solo forse un personaggio estremamente triste, la sua scelta è stata devastante per tutte quelle esistenze coinvolte che ne hanno subito il trauma ma dettata probabilmente più da egoismo che da malvagità. È Ingrid a trovare le parole adatte per parlare di Angelika:
Quello che invece Sara Rattaro regala ai suoi lettori non è il messaggio pieno di rabbia di un uomo e una donna che hanno smesso di amarsi e le conseguenze che le scelte dei genitori hanno inevitabilmente sui figli; il punto di vista dell’autrice si sposta invece nel momento in cui Francesco ha l’occasione di riportare a casa, in Italia, la sua Margherita ormai adolescente, che ha tragicamente perso la madre in un incidente d’auto. Prima che intervenga lo stato danese, quell’uomo che per Margherita è un estraneo, riesce a portare la figlia nel paese in cui è nata, con l’intenzione di trovarle un posto in quella vita che si è costruito senza di lei, il cui vuoto è rimasto così prepotente ad occupare mesi e anni costretti alla lontananza. E nel narrare la storia di un padre e una figlia che imparano a conoscersi, l’autrice costruisce un racconto a due voci in cui le parole di Francesco si alternano a quelle di Margherita per restituire così al lettore tutta la complessità di due vite che cercano di comprendersi e fondersi. C’è poesia, emozione, potenza e sentimento in ogni parola del romanzo della Rattaro, narratrice esperta di legami e fragilità quotidiane, capace di raccontare una storia d’amore come questa senza cedere a facili sentimentalismi.
Al centro della narrazione ovviamente il tema, probabilmente affrontato per la primissima volta in un romanzo italiano, della sottrazione internazionale di minori: il racconto per flashback dei tentativi di Francesco durante gli anni di lontananza per vedere la figlia, le difficoltà quotidiane e la frustrazione, e soprattutto il difficile inserimento di una Margherita adolescente nella vita di un uomo che dopotutto non conosce, vivere in punta di piedi per la paura di sbagliare e rischiare che quella figlia silenziosa si chiuda ancora di più. Ma intorno ad esso si dipanano mille altri spunti, tutti a loro modo funzionali alla storia e soprattutto motivo di riflessione per il lettore accorto. Sono le difficoltà di inserimento di un’adolescente in una nuova scuola in cui è la straniera (pur parlando perfettamente italiano ed essendo nata in questo paese), il dolore profondo che si porta dentro e che trova la via sbagliata per essere esternato, i dubbi e le insicurezze riguardo a quel pesante vissuto che non comprende; per Francesco le difficoltà nelle relazioni affettive, l’incapacità di venire a patti con il passato evitando di ferire la compagna che gli è rimasta accanto in tutti quegl’anni in attesa di Margherita, la critica profonda alle istituzioni italiane che non sanno combattere le battaglie dei propri cittadini.
Sara Rattaro a #TreQuarti14, Libreria CLU (Pavia) Foto ©GMGhioni |
Su tutti, spiccano due figure femminili diverse ma entrambe fondamentali: Ingrid, la donna che in Danimarca si è presa cura di Margherita come una madre quando Angelika era troppo assente, egoista o immatura per badare alla figlia, una donna così materna, equilibrata e concreta, da cui la ragazza non accetta di separarsi nemmeno dopo il suo arrivo in Italia; ed Enrica, la compagna di Francesco, la scienziata buffa e stravagante che in modo spontaneo ed immediato trova una connessione con quell’adolescente educata e silenziosa che si porta dietro un carico emotivo pesantissimo. Due donne che, ognuna a loro modo, rappresentano per Francesco punti di riferimento imprescindibili ed è anche grazie a loro che cercherà nei primi mesi di questa nuova vita ad avvicinarsi alla figlia ritrovata. È una storia in cui ovviamente anche le madri - biologiche, putative, mancate- sono figure centrali ed è inevitabile riflettere sul personaggio di Angelika, evocata solo nel ricordo eppure fantasma che inevitabilmente attraversa tutto il racconto: una donna immatura, a tratti egoista e scostante, che inspiegabilmente sceglie di lasciare un marito che non ama più portandogli via la figlia, inventando storie orribili sull’ex, incapace di stare sola che si lega ad uomini di passaggio, i tanti “padri” che transitano brevemente nella vita di Margherita. Ma Angelika non è una donna cattiva, solo forse un personaggio estremamente triste, la sua scelta è stata devastante per tutte quelle esistenze coinvolte che ne hanno subito il trauma ma dettata probabilmente più da egoismo che da malvagità. È Ingrid a trovare le parole adatte per parlare di Angelika:
Non era una donna cattiva. Era solo una bambina. Giocava e faceva i capricci. Era divertente e affascinante, a volte riusciva a farti tremare per quel suo insaziabile bisogno di affetto, altre avrebbe trovato il coraggio di lasciarti congelare in strada senza aprirti la porta. Sapeva essere affabile e selvaggia. E ne era consapevole. Per questo mi aveva chiamata. Per Margherita. Perché io proteggi sua figlia dai suoi vuoti inspiegabili.
E al centro di tutto, ferita e silenziosa, Margherita. Quel vissuto che si porta dentro ha lasciato un dolore che non sa esprimere a parole ed è solo punendo sé stessa che sente di espiare la propria colpa, la propria inadeguatezza: «la voglia di farmi male per non sentire male», quando chiusa in bagno infierisce sul suo corpo.
Reagisce in maniera composta al trambusto della sua vita, non strepita, non si ribella (se non per un attimo, al momento di scendere dall’aereo che l’ha portata in Italia); poi lentamente inizia ad aprirsi alle persone che le sono accanto, comprende le storie di quegli sconosciuti che hanno lottato per lei, fa chiarezza nella storia dei propri genitori.
Fondamentale nel tentativo di non aggiungere un ulteriore carico di dolore al disagio di Margherita è la scelta generosa di suo padre: con pazienza aspetta la figlia dietro le porte chiuse e i silenzi ma soprattutto sceglie di non rispondere all’egoismo di Angelika con altro egoismo e risparmia a Margherita inutili veleni sulla ex moglie, colpe e difetti nella loro relazione, cattiverie. Regala alla figlia il racconto di quella donna che ha amato moltissimo, anche se nel farlo inevitabilmente finisce col ferire la compagna che ha ora accanto. Ma è il modo più diretto che ha trovato per comunicare con Margherita, consapevole del fatto che troppo dolore è già stato subito, troppe volte sono i figli a patire le pene più gravi quando i genitori si separano. Da qui anche la scelta fatta anni prima di non porre rimedio alla situazione mediante un gesto estremo portando via la figlia quando le istituzioni sono state barriere. È triste che Francesco abbia ritrovato Margherita solo con la tragica scomparsa della madre, la battaglia dopotutto sembra persa:
Eri una donna e, quando mi sei passata vicino, ho compreso che non solo avevo perso la mia battaglia, ma che le armi erano state deposte già da molto tempo, mentre io stavo ancora escogitando la mia offensiva.
Restano dieci anni di vuoto da recuperare, di compleanni non festeggiati, di insicurezze e ferite che sarà difficile guarire.
Perché in fondo, al di là della specificità della storia raccontata dalla Rattaro di un fenomeno in crescita, il messaggio del romanzo ci fa riflettere sul pesante impatto che le scelte dei genitori hanno sulla formazione psicologica ed affettiva dei propri figli; che siano coppie miste o della stessa nazionalità, eterosessuali oppure no, ciò che resta è che a volte l’amore non dura per sempre, ma quando scriviamo la parola fine ad una storia è necessario mettere da parte egoismi e meschinità per il bene di quei figli, spettatori innocenti del fallimento degli adulti. Troppo profonde potrebbero essere le ferite inferte in una guerra inutile, tutte non sempre possibili da guarire.
Debora Lambruschini
Debora Lambruschini
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