È possibile raccontare, da una prospettiva ordinaria, una vita straordinaria, la vita di un uomo che non ha mai conosciuto né cercato nulla di ordinario? È possibile restituirla in una narrazione, anche per frammenti, senza che essa perda profondità e significato, senza imprigionarla nei recinti del giudizio e della morale comune?
Emmanuel Carrère ci è riuscito con Limonov (leggi qui la recensione), un libro che si sviluppa seguendo una linea che tocca trasversalmente il romanzo, la narrazione biografica, il saggio storico. L'autore francese, che anche con L'Avversario ha dimostrato di sapersi confrontare con vicende che oltrepassano materialmente i limiti umani, ha scelto di lavorare sulla vita di Eduard Veniaminovich Savenko, conosciuto come Limonov ("un nome d'arte e di battaglia") maneggiando così un materiale biografico scottante che esplode tra le mani come una bomba.
Chi è Limonov, non è semplice e dirsi. Scrittore e poeta, politico, vagabondo, soldato, maggiordomo, mercenario: Limonov è una somma di identità, tolta una il risultato non potrà mai essere lo stesso.
Ha vissuto a Karkov, in Ucraina, tra i malviventi di Saltov e i primi versi di poesia, è andato a Mosca con tutti i suoi sogni in tasca e un solo imperativo: non essere più uno dei tanti; è volato a New York dove è stato un barbone in mezzo ai neri di Central Park e poi il maggiordomo di un miliardario, ha vissuto ancora tra Parigi e Mosca tra tentativi di insurrezione armata e glorie letterarie, ha combattuto a Sarajevo per i serbo-bosniaci in uno dei periodi più controversi della sua vita, unendosi a dittatori e generali senza scrupoli e seguendo il credo della guerra come religione purificatrice. Ha amato ferocemente le donne che sono arrivate nella sua vita fino a distruggerle.
Ha visto la Russia da Stalin a Putin, rimpianto il comunismo mentre esprimeva posizioni reazionarie, nel 1992 ha fondato il Partito Nazional Bolscevico (Nazbol), coniugando eredità bolscevica e spinte di estrema Destra. Dal 2001 al 2003 è stato in prigione per accusa di terrorismo e proprio dall'esperienza nel carcere di Lefortovo sono nati alcuni dei suoi scritti più memorabili come Il libro dell'acqua.
Per alcuni è un fascista, per altri un criminale, per altri un genio che è stato capace di vivere la vita alla massima velocità sfidando il mondo a colpi d'arma e di penna. Oggi Limonov ha settantadue anni e la sua parabola continua secondo direzioni difficili da prevedere.
Con questo libro Emmanuel Carrère ha mostrato al mondo i suoi mille volti, cambiati nel tempo insieme alle evoluzioni della politica e del pensiero, ma in fondo rimasti sempre uguali a se stessi per la fierezza, il coraggio, la contraddittorietà, la spinta verso l'estremo.
Come il suo protagonista, Limonov è un libro che ti porta all'estremo sconvolgendoti a ogni pagina; proprio mentre siamo pronti a giudicare e disapprovare le scelte di Limonov, ecco che una parte nascosta di noi segretamente le ammira.
Edizione di riferimento: Emmanuel Carrère, Limonov, Adelphi, Milano, 2012.
...ha avuto la vita avventurosa che a vent'anni sognano tutti, è una leggenda vivente, e il cuore di questa leggenda, ciò che invoglia tutti a imitarlo, è l'eroismo cool di cui ha dato prova durante la prigionia. Limonov è stato a Lefortovo, la fortezza del KGB che non ha nulla da invidiare ad Alcatraz; è stato in un campo di lavoro, sotto il regime più duro, e non si è mai lamentato, non si è mai piegato. È riuscito non soltanto a scrivere sette o otto libri, ma ad aiutare concretamente i compagni di cella, che hanno finito per considerarlo un vero boss e una specie di santo. Il giorno in cui è stato scarcerato, detenuti e guardie hanno fatto a gara per portargli la valigia.
Eduard non è pigro e non si accontenta facilmente: ha scoperto che basta lavorare un poco ogni giorno, ma tutti i giorni, per essere certi di progredire - e a questa disciplina resterà fedele tutta la vita. Ha anche scoperto che in una poesia non è il caso di parlare di "cielo blu" perché tutti sanno che il cielo è blu, e che le trovate del tipo "blu come un'arancia" , che ormai si leggono ovunque, sono quasi peggio. Eduard vuole stupire e punta per questo sulla prosaicità anziché sui preziosismi: nessuna parola rara, niente metafore.
Per noi che andiamo e veniamo prendendo aerei come e quanto ci pare è difficile capire che per un cittadino sovietico la parola "emigrare" indicava un viaggio senza ritorno; è difficile capire queste parole, semplici come un colpo di scure: "per sempre".
È estate. Eduard si abbronza sul suo minuscolo balcone, al sedicesimo e ultimo piano dell'Hotel Winslow, mangiando una zuppa di cavoli direttamente dalla pentola. È ottima, la zuppa di cavoli: una pentola costa due dollari, dura tre giorni, è buona sia calda che fredda e anche senza frigorifero non va a male. I palazzi di fronte a lui sono occupati da uffici con i vetri oscurati, dietro i quali dirigenti in giacca e cravatta e segretarie che abitano in periferia devono chiedersi chi sia quel tipo abbronzato, muscoloso, che prende il sole sul balcone in minislip rosso e qualche volta, senza porsi il minimo problema, con l'uccello di fuori. Ecco a voi Edicka, cari contribuenti americani, il poeta russo che vi costa duecentosettantotto dollari al mese e vi disprezza cordialmente.
A cura di Claudia Consoli
Social Network