di Marco Santagata
Guanda, 2015
pp. 179
cartaceo € 16,50
Lui era fatto così: si agitava nel buio senza intravedere il più piccolo spiraglio e poi una improvvisa illuminazione rischiarava a giorno la strada da percorrere.
Avrebbe riparato scrivendo un libro.
(p. 106)
Non è semplice parlare di Dante Alighieri, specialmente quando ricorrono anniversari come quest'anno (era nato nel 1265), e gli occhi di studiosi, narratori, giornalisti (ed editori) sono puntati su tutto ciò che si può dire sul grande Dante. I rischi? Innumerevoli: da operazioni stantie a tavolino a incredibili anacronismi interpretativi (c'è bisogno qui di ricordare che Dante è stato oggetto di strampalate riletture esoteriche o di pericolose e ribelli reinterpretazioni da parte dei gender studies?).
Quando però a prendere in mano la penna è uno dei più noti dantisti italiani, Marco Santagata, è praticamente certo che l'opera che andremo a leggere non avrà le pecche sopra paventate. L'ambizione di trasformare Dante in personaggio narrativo è grande, certo, e anche un po' avventata, ma Santagata si guarda bene dallo stravolgere i fatti per piegare sulle emozioni. Nel suo romanzo, Come donna innamorata, il più noto fiorentino si rivela innanzitutto un uomo, con le sue passioni e soprattutto con le sue incertezze. Sarebbe tanto facile quanto fallace, alla luce della fama mondiale e imperitura, immaginare la scrittura dantesca come il risultato di una mano ferma sulla carta. Molto più fedele, invece, è comprendere quanto la Commedia e la Vita Nova fossero opere profondamente eversive e, come tali, mettesero in crisi l'autore.
Come donna innamorata prende avvio con la malattia e la morte di Beatrice Portinari, che si stacca dall'icona angelicata della tradizione, per tradire (finalmente?) realismo. La Bice più famosa della letteratura si sporca appena di imperfezioni, o meglio di umanità: non ha lineamenti perfetti e tutta Firenze (tranne Dante) sa della sua sterilità, ma qualcosa nel suo incedere rende la donna un angelo in terra, degna della più forte devozione:
"... l'amore, capisci?, è estasi. La poesia loda la bellezza del creato. Ti dico di più, amare un angelo in terra solleva l'anima in Cielo. Credimi, l'amore può salvare". (p. 26)
Sono le parole con cui Dante cerca di dimostrare all'amico Guido Cavalcanti che «la poesia volgare è una cosa seria», e che «per scrivere d'amore ci vuole tanta filosofia» (p. 25). E con Guido, altro personaggio con cui misurarsi e scontrarsi di continuo, amico fraterno prima e causa di grandi crisi personali, Dante ragiona sui preamboli di ciò che sarebbe poi diventato la Vita Nova:
Con la Vita Nova si sarebbe giocato quasi tutte le sue carte. Trepidava mentre attendeva le reazioni dei primi lettori. Era in ansia perché temeva che le visioni, per quanto accennate o anche solo annunciate, potessero essere male intese, e invece della fama di saggio gli venisse affibbiata la nomea di stravagante, per di più presuntuoso. Così non fu, quasi subito il suo nome cominciò a correre con lode sulle bocche dei fiorentini. (p. 139)
Nelle prime pagine, Dante, che è ancora il giovane poeta alla ricerca della giusta voce per cantare l'amata, ripercorre la devozione straordinaria per Beatrice. Tornano qui tutti i simboli letterari che i lettori di Dante riconoscono subito: la magia e la ricorrenza numerologica del numero 9 (su cui si è soffermato lo stesso Santagata nei suoi studi), il colore rosso che domina nelle apparizioni di Beatrice, la presenza di donne-schermo che riprendono e accentuano l'unicità della Portinari,...
A questo percorso tra simbologie e allegorie dantesche, si aggiunge la matrice narrativa, che attribuisce a Dante un'umanità e una vitalità fuori discussione. È un uomo che si strugge, certo, ma con dubbi profondamente moderni, che non smentiscono né lo spessore culturale né la magnanimità testimoniate dalla tradizione. Santagata osa, ma sa fin dove può spingersi:
Che fosse attratto da Bice era fuori discussione, ma si chiedeva anche se, per caso, non fossero i gesti di amicizia, le premure che lei gli riservava a spingerlo a interpretare come sentimento amoroso la soddisfazione di essere considerato da una delle dame più in vista di Firenze. Che poi, cosa ne sapeva lui dell'amore... Mai aveva provato quegli eccessi di onnipotente felicità che facevano dire al suo Guido: "Io cammino sulle acque". Mai era precipitato nella nera malinconia in cui Guido sprofondava. Ma si diceva anche che mai aveva provato per Gemma l'euforia, l'appagamento che gli dava la presenza di Bice, e neppure il desiderio di rivederla quando non le era vicino. E nemmeno però gli era mai capitato di chiedersi se lui Gemma l'amava. (p. 52)
Ecco. Gemma Donati, la moglie di Dante, è un «mistero» (p. 53): entrata per caso nella vita del poeta, è ben ritratta da Santagata come una donna devota, che serba per il marito rispetto, pur sapendo di essere perpetuamente tradita sulla carta con Beatrice. E resta paziente e fiduciosa anche quando tutto vacilla, ovvero con l'esilio, perché «ci sono date impresse a fuoco sulla carne. Il 15 luglio 1295 lo aveva marchiato per il resto dei suoi giorni». Inutile, forse, specificare che nella sua personale via crucis, Dante non si lascerà consolare dall'appoggio (anche se a distanza) della famiglia, né dall'amico Guido, allontanatosi per invidia poetica. No, al centro della tenacia dantesca resta sempre lei, l'indomabile forza della scrittura:
Era crollato tutto, ma gli restava la Commedia. Da quando aveva realmente capito cosa fosse, quel poema a cui lavorava da anni gli appariva l'unica roccaforte solida e potente in un mondo che andava in pezzi. (p. 126)
GMGhioni
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