in

«Permettere alle sezioni del Tempo di sanguinare daccapo, poi ritrapiantarle».

- -
L'età adulta
di Ann-Marie MacDonald
Mondadori, 2015

Traduzione di G. Granato

pp. 344
€ 22 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


I segni sul corpo di una persona sono segni su una mappa, strade tracciate sulla carne, ti raccontano da dove sei venuto e come tornarci. Le sue cicatrici possono riportarla a casa. (p. 294)
Mary Rose pare una casalinga frustrata e depressa come tante: due figli piccoli da crescere, una casa da pulire, pochissimo tempo per sé e un altissimo grado di responsabilità («L'educazione dei figli somiglia alla guerra: lunghe fasi di noia costellate dallo scatenarsi dell'inferno», p. 130). Qualcosa in realtà la differenzia da molte: è una scrittrice di successo, che ha scritto romanzi young adult molto promettenti e tutti le chiedono quando arriverà la terza parte della saga. Poi c'è Hilary, la donna che ha sposato, dopo aver combattuto perché l'omosessualità venisse sdoganata dalle malattie secondo OMS e soprattutto perché anche i suoi genitori accettassero la situazione. Certo, adesso Dolly e Duncan adorano Hilary, ma quando la giovane Mary Rose aveva fatto coming out, erano stati crudeli:
Rifiutarono di mettere piede nella casa che divideva con Renée. 
"Tu andresti a trovare qualcuno all'inferno?"
[...] "Tu faresti entrare il diavolo in casa tua?".
Erano seduti al tavolo della cucina. 
"Se non ti ho fatto mangiare la merda, adesso perché vivi nella merda?"
Il padre fissava un angolo del soffitto.
"Preferirei che fossi un'assassina" disse Dolly. (p. 187)
Mary Rose, per quanto cerchi di razionalizzare e passi oltre anche al "Preferirei che avessi un cancro" di sua madre, improvvisamente soffre per vecchi dolori a un braccio. Cisti ossee, le avevano detto i medici, e lei aveva fatto due trapianti, ripetuti accertamenti con il sesto senso bruciante che, sotto certe ferite, si nascondesse ben altro. Un segreto sepolto nell'infanzia di Mary Rose: perché lei lo sa, è l'altra Mary Rose, battezzata così in nome della sorellina morta prematuramente. Non era brava a fare figli, ripete più volte Dolly, consapevole di quelle piccole bare che avevano scavato in lei depressione e sofferenza estreme, nonché l'incapacità di trasmettere l'amore che avrebbe voluto a Mary Rose e al fratello, Andrew-Patrick. 
E tutto questo grava sulle spalle della protagonista e sulla sua idea di maternità: come in un'osmosi non richiesta, il disamore o perlomeno l'egoismo sentimentale di Dolly pesano sul presente della quarantottenne Mary Rose, che ha difficoltà a sopportare i capricci della figlia Maggie e non capisce fino in fondo il più introverso primogenito, Matthew. 

Aprile è il più crudele dei mesi, si sa, e il lettore accompagna Mary Rose lungo una densa e complessa settimana, dal lunedì alla domenica, quando arriveranno Dolly e Duncan in visita. Hilary non c'è, è assente per lavoro come suo solito, e Mary Rose dovrà fare i conti con i dubbi che le martellano sempre più disperatamente sottopelle, lì dove ci sono tutte le ferite di un tempo:
Le cicatrici ti rendono più forte, e aiutano a raccontare una storia: come striature di una roccia ignea, una storia di eruzioni e centimetri epocali. (p. 338)
E proprio come se quella roccia fosse incisa, piano piano nei ricordi di Mary Rose si fanno strada flash dissonanti che interrompono l'atmosfera claustrofobica della routine: tra piatti e stoviglie, unicorni da reincollare, stivaletti spaiati e pulizie ossessive, ci si avvicina sempre più al dramma. Il lettore si chiede a ogni pagina se Mary Rose riuscirà a unire i dettagli della sua infanzia, se soccomberà alla rabbia che a volte pare travolgerla irrazionalmente, se fuggirà alle responsabilità con qualche gesto estremo, o se chiuderà la porta in faccia ai genitori, la domenica. Queste e altre domande travolgono di pagina in pagina, tra il timore di scoprire il cedimento della protagonista e la curiosità di vedere fin dove osa la MacDonald.
La stessa disintegrazione nervosa della protagonista, poi, ha ripercussioni sullo stile del romanzo (anche se la traduzione non pare felicissima, con scelte lessicali più volte discutibili): la grammatica, che per il «Sunday Book Review» è «a sanctuary of order» per l'autrice, collassa e si ribella tanto quanto i percorsi razionali di Mary Rose.

Un romanzo coraggioso che mostra cosa accade lontano dagli occhi del vicinato, tra le mura domestiche che, tradizionalmente, vorremmo chiamare "casa". 

GMGhioni