Il sacrificio dell'alfiere
di Stefano Sala
Le due torri, 2015
pp. 226
€ 11,50
Il sacrificio dell'alfiere,
primo romanzo edito di Stefano Sala (autore che ha già all'attivo
alcune autopubblicazioni), si presta in sede critica a una duplice
analisi. Gode di uno status al
limite del contraddittorio, e la quasi contraddizione è naturalmente
una nota di merito: è proprio l'attrito tra le due anime del testo,
sapientemente bilanciate, a garantire leggerezza e rapidità di
lettura da un lato e riflessioni intellettualmente stimolanti
dall'altro.
A tutta prima la definiremmo una lettura da mare, senza timore di non renderle giustizia. Non è questo il luogo per disquisizioni che, in ogni caso, si arenerebbero presto nella spiaggia infinita della soggettività – il “de gustibus” è sempre in agguato, per fortuna – , ma conviene comunque osservare che i cosiddetti “libri da ombrellone” sono sterminati, e non è la “leggerezza” a determinare la loro frequente trascurabilità. Il discrimine vero è, naturalmente, quello presente tra libri scritti bene e libri scritti male. Vi sono gustose pubblicazioni facilmente fruibili che non lasceranno il segno nella storia della letteratura ma che certo non hanno niente da farsi perdonare (anzi!), così come esistono canzoni magnifiche con “quattro accordi cuciti in croce”, per dirla con Guccini, che ascoltiamo con estremo piacere. Il sacrificio dell'alfiere è, da questo punto di vista, un riuscitissimo libro leggero. Ed è leggero perché mescola tutto ciò che occorre per creare righe che siano di facile lettura, ricche di suspense e capaci di suscitare e portare all'estremo le emozioni 'base' del lettore.
In
questo romanzo che si affida ciecamente alla trama (a dire che quasi
tutto si risolve nell'intreccio e quasi nulla resta inesplicato a
sedimentare nella mente di chi ne affronta la lettura), la fanno da
padrone scenari dominati da una violenza variamente declinata.
Abbondano i toni pulp
e il sangue scorre a fiumi, ma non vi è, e ciò si avverte
facilmente, un cedimento incondizionato, nel nome della moda, ai più
morbosi appetiti del pubblico. La violenza è qui funzionale, non è
mai, o quasi mai, un surplus.
Tutto si gioca intorno alle due figure principali, Gianni e Giorgio. Il primo, aspirante suicida, si vede stroncare il proprio sogno di morte (cercata gettandosi in mare alla guida di una Panda) da un gesto eroico del secondo. L'esordio drammatico e lineare induce aspettative di gratitudine e amicizia che saranno fortunatamente e rapidamente disattese. Chi legge è preso in contropiede dalla valanga di rancori e odio che da qui si origina. Gianni, meschino trafficante di droga immune a ogni cedimento morale, eccezion fatta per un genuino rimorso provato nei confronti di Giusi, unica donna davvero amata e ciò nonostante spinta in un mondo spietato che le costerà la vita, seminerà lutti e pesantissime crisi. Giorgio, pittore e appassionato scacchista, osserverà la sua vita precipitare sempre più rapidamente lungo il piano inclinato di una solitudine crescente.
I due
protagonisti giungeranno fatalmente, complice una gelosia spia di un
non secondario elemento sentimentale presente nella narrazione, a uno
scontro diretto che innescherà il finale tesissimo in tinte gialle.
Degna d'attenzione è anche la commistione di registri linguistici e
lessicali praticata da Sala: l'italiano neostandard dominante
(gestito talvolta in maniera un po' approssimativa e impropria, ed è
questo il principale limite del testo) lascia spazio a vivaci ed
efficaci scambi in dialetto siciliano e ad ampie digressioni in cui
abbondano termini marinareschi .
Questo, in breve e con ampie omissioni per non togliere ogni sorpresa al lettore, il primo livello di lettura. E poi? E poi resta il cuore del testo, il nucleo 'esistenziale' costituito da stridenti dubbi morali e inquietanti coincidenze senza il quale Il sacrificio dell'alfiere non sarebbe altro che una prova riuscita a metà.
Una
perturbante connessione tra ciò che accade sulla scacchiera durante
le partite giocate da Giorgio e gli avvenimenti che sconvolgono la
sua vita è attiva fin dalle pagine iniziali. Il tema, ossessivamente
ricorrente, è quello del sacrificio. Anzi, più precisamente: il
tema è quello del rovello morale scaturito dalla necessità di una
scelta tra l'accettazione e il rifiuto di tale sacrificio, non
essendo possibile giocare contemporaneamente due mosse per rinunciare
alla riduzione di alternative implicata da ogni scelta, nella vita
come sulle sessantaquattro caselle.
Se
può sembrare ozioso (per chi ignora quanto possano essere
terribilmente seri gli scacchi, si intende) farsi troppe domande
sull'alfiere scagliato contro i pedoni in difesa del Re arroccato, il
problema diviene evidentemente gigantesco quando è in gioco la vita
di un uomo.
Le
domande che sorgono sono ineludibili e pesanti, bucano come spilli le
nostre rassicuranti certezze e obbligano a fissare l'attenzione su
tematiche torbide e scivolose. Questo è ciò che dovrebbe fare la
letteratura, dopotutto. Prendere a pugni, turbare, mettere in
discussione ciò che credevamo acquisito, scompaginare le carte
(troppo spesso fa l'esatto contrario: rassicura, dà al pubblico ciò
che il pubblico si aspetta e ad accarezzare contropelo neppure ci
pensa). E dunque: è giusto salvare da morte certa un uomo che di
morti ne procurerà più d'una? È corretto nei confronti dello
stesso suicida impedirgli di realizzare ciò ha a lungo desiderato?
Intervenire obbligando l'altro ad accettare i propri nobili valori è
un atto di arroganza buono per tacitare la propria coscienza o è, al
contrario, doveroso?
Al
di là degli interrogativi che smuove, la simmetria tra vita e
scacchiera e interessante di per sé. Le coincidenze che così tanto
turbano il soggetto sono capricci del caso che ci governa o sono
messaggi che meritano di essere seriamente analizzati (cosa che tra
l'altro, tanto per fare un nome, fece Jung, profondamente interessato
ai fenomeni sincronici)?
Forse
un'occasione non pienamente colta sta proprio nel non aver insistito
più a lungo e con più vigore su questo punto. Rafforzare
l'esitazione tra lo strano e il meraviglioso, per dirla in termini
todoroviani, avrebbe calato il lettore in una rete di sottile
inquietudine e avrebbe moltiplicato quella destabilizzante sensazione
di precarietà e vertigine che, come abbiamo detto, è spesso – non
sempre – appannaggio della buona letteratura.
In fin dei conti, comunque, il Sacrificio dell'alfiere convince per freschezza e piacevolezza di lettura, unite alla capacità non così comune di istigare a scomodi pensieri. Le piccole carenze che ha sono, ne siamo convinti, l'inevitabile scotto pagato alla non ancora grande esperienza.
Sappiamo
che Stefano Sala sta già scrivendo un nuovo romanzo. Lo aspettiamo
al varco con fiducia!
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