NN editore
Foto di ©Debora Lambruschini |
Questa è una presentazione un po’ diversa dalle altre a cui di solito partecipo, soprattutto per una semplice, ovvia ragione: alla prima presentazione ufficiale di Crepuscolo, ultimo capitolo tradotto della Trilogia della Pianura pubblicato da NN Editore (che uscirà domani, 12 Maggio) e da noi letto in anteprima, siamo stati invitati a confrontarci sull’opera avvertendo il peso del grande assente, il suo autore, Kent Haruf, scomparso a fine 2014 quando anche in Italia aveva finalmente suscitato l’interesse di pubblico e critica.
Eppure, nonostante la tristezza di fronte alla scoperta tardiva di un autore del calibro di Haruf e le tante domande che rimangono senza risposta diretta, è stato un incontro estremamente piacevole ed interessante, organizzato dalla casa editrice indipendente NN che festeggia un anno di vita legando il suo successo a titoli di punta tra cui, appunto, i romanzi di Haruf. A condurre l’incontro, con garbo ed ironia, il traduttore italiano della trilogia, Fabio Cremonesi, che ha intrattenuto noi blogger e giornalisti invitati alla presentazione raccontandoci molto del suo lavoro di traduzione e del rapporto con l’opera dello scrittore americano. E dalle sue parole è apparso, molto evidente, il legame emotivo profondo che lo lega a questi romanzi, non soltanto in quanto traduttore ma, soprattutto, come lettore di fronte ad un’opera che ammalia, per parole, immagini, storie.
Ci si interroga, quindi, sul successo di Haruf che, dopo un primo tentativo di traduzione di qualche anno fa, gode ora di adeguata considerazione da parte del pubblico così emotivamente legato alle sue storie e dalla critica italiana che scopre una delle voci più belle della narrativa americana del nostro tempo. Un successo motivato, secondo Cremonesi, dalla straordinaria capacità di Haruf di parlare ad ognuno di noi, arrivare al cuore delle persone: di cose cui siamo disabituati a parlare, in quest’epoca dominata dal cinismo in cui anche la letteratura sembra portata ad interpretare il mondo mediante questa chiave di lettura, che Haruf invece rifiuta, per posare il suo sguardo benevolo sulla vita, le persone, senza giudicare. E descrivere con straordinaria capacità «gesti minuscoli e caricarli di profondità», raccontando storie di quell’America rurale che negli ultimi anni sembra essere terreno fertile per la produzione letteraria più interessante (penso, per fare un solo esempio, al romanzo di Nick Butler, Shotgun Lovesong), di paesaggi struggenti e cieli sconfinati, ma dove la vita sa essere anche brutale, a tratti soffocante.
In Crepuscolo, terzo libro della Trilogia della Pianura – di cui, a breve, vi parleremo più nel dettaglio– ma cronologicamente il secondo scritto da Haruf, la trama, sottolinea Cremonesi, si fa ricca piena di vita, la scrittura simile a Canto della pianura, da cui riprende alcuni personaggi e situazioni, tra cui i due fratelli McPheron – personalmente tra i personaggi che più amato dell’intera trilogia – che in questo capitolo l’autore sviluppa nella loro individualità, conferendo ad ognuno una voce unica e distinta, pur nel legame profondissimo che li lega l’uno all’altro, che spesso è fatto semplicemente di sguardi, silenzi carichi di significato come, ci ricorda ancora il traduttore, lo è l’opera stessa.
Foto di ©Debora Lambruschini |
Tradurre Haruf ha significato quindi confrontarsi con un testo corale, con le problematiche, per esempio, di rendere in maniera adeguata ed accessibile anche ad un pubblico non specialistico il linguaggio tecnico degli allevatori, e uno sguardo d’insieme sul progresso della scrittura che da Canto della pianura e Crepuscolo arriva, per sottrazione, a Benedizione, con una narrazione cioè priva di ogni orpello non essenziale. Cremonesi racconta con passione il delicato lavoro di traduzione, tra scadenze, dubbi, letture capaci di arrivare al cuore e commuovere. E non mancano aneddoti simpatici, del lavoro editoriale ma anche delle curiose scoperte sui rituali di scrittura di Haruf che, stando a quanto dichiarato dalla moglie in una recente intervista, sembrava essere solito dedicarsi alla prima stesura di un romanzo con gli occhi – letteralmente – bendati così da non lasciarsi distrarre da tutti quei fattori esterni intorno a lui che avrebbero potuto interrompere il processo creativo. Un autore che, dalle interviste e recensioni recuperate in questi ultimi anni, abbiamo imparato ad immaginare appartato, dedito al lavoro di scrittura ed insegnamento e che, sottolinea ancora Cremonesi, considerava la scrittura un mestiere duro, che necessita di impegno costante e quotidiano: un essere metodico che appare coerente con le sue storie e i suoi personaggi, le loro vite scandite dal lavoro.
Che sia seguendo l’ordine cronologico di scrittura dei tre romanzi o quello della traduzione italiana, siamo quindi pronti per tornare ad Holt e lì ritrovare, ancora una volta, la grazia dello sguardo di Haruf.
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