di Grazia Deledda
Ilisso, 2007
con prefazione di Marcello Fois
anno di uscita: 1931
pp.133
€ 11 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)
La passione secondo Grazia Deledda: anche chi non si è mai accostato prima alle pagine di questa scrittrice, in Il paese del vento conoscerà subito il tramestìo incessante di sentimenti che agitano i personaggi, scossi da turbamenti per loro ineffabili (non certo per la scrittrice, impareggiabile nello scavare entro le complesse psicologie dei protagonisti). È un vero e proprio panorama del sentimento, spazzato da un vento pervicace che soffia con stridori sinistri, fino a intaccare la serenità degli uomini. Una natura matrigna? Forse no, semplicemente una natura personificata, in grado di interpretare e addirittura estremizzare ciò che gli uomini non sanno dire:
Fu davvero una specie di tifone, quello che per tre giorni imperversò intorno a noi. Solo alla notte si placava, come stanco del suo furore insensato; ma poi riprendeva con più forza la sua opera disperata. E pareva che piangesse, il vento angoscioso, urlando un suo dolore terribile; e che avesse una follìa di vendetta contro le cose che tentava di distruggere e che invero distruggeva. (p. 84)
E la protagonista, infatti, fin dalle prime pagine risulta una sposa silenziosa, ingenua, chiusa, avvezza a covare i propri sentimenti (senza mai confessarli) nel calore protetto della famiglia. La partenza per il viaggio di nozze con quell'uomo che improvvisamente le sembra di non conoscere e le prime avvisaglie (chiassosi compagni di viaggio dell'esercito, la conversazione esagerata e goliardica del marito, l'assenza della donna presso la casa della quale avrebbero dovuto risiedere) non fanno che accrescere i timori della giovane. D'altra parte, la ragazza ormai si trova lontana da casa e deve abituarsi a questo suo nuovo compagno e prepararsi a condividere tutto, anche reconditi segreti che non ha mai nemmeno formulato compiutamente. Eppure la sorte si affaccia, sorniona e crudele: il vento, così folle e straordinario in quella stagione, un giorno scuote la protagonista più del normale, e in lontananza lascia intravvedere una figura del passato. Un amore, o qualcosa che gli occhi ancora bambini della ragazza avevano così interpretato. Non importano gli anni passati, quel primo turbamento mai chiarito risuona delle prime promesse di tenerezza e affetto e fa rintoccare il crudele e inspiegabile addio. Sembrerebbero le premesse per un triangolo amoroso, ma Grazia Deledda, al culmine del successo quando è uscito Il paese del vento nel 1931, non ha bisogno di tresche e sotterfugi per avvincere il lettore. Anzi... Ha preparato una sorpresa: l'innamorato del passato, Gabriele, elaborato e lasciato crescere nel cuore della protagonista per tanti anni, è ormai malato e probabilmente destinato alla morte. Ecco che allora la ragazza fatica a negarsi, e le visite alla casa del malato sembrerebbero un'opera di misericordia...
Ancora una volta, niente è come sembra, e sarebbe un peccato tradire il gusto che ogni lettore, ieri come oggi, proverà nello svelare, di pagina in pagina, il destino della neosposa. I colpi di scena non mancano, e lo sradicamento fisico dalla famiglia concede spazio a dubbi: le radici tradizionali vacillano, è il vento stesso a sbatacchiarle impietosamente. Ma ci sono nuove radici, come quella del matrimonio o quella del mutuo soccorso, che intervengono e proteggono la giovane in boccio (per questo più esposta alla forza atmosferica degli imprevisti).
Muovendosi tra passato da adolescente e presente da sposa, Grazia Deledda fa sì che la trama di per sé svelta da riassumere si complichi di scavi psicologici, riflessioni e tormenti: la protagonista vive, vive molto più del marito o dell'innamorato giovanile. Si strugge e si interroga, come un giovanissimo virgulto scosso dal vento della vita, «ma la vita è sempre la vita, con le sue pause ingannevoli, con le sue grazie e le sue crudeltà a volte intrecciate assieme» (p.70). Ed ecco che il suono del violino di Gabriele, come un novello Faust, si propaga con l'aiuto del vento, tenta e mette in crisi le certezze di chiunque.
Ma Grazia Deledda ci ha già avvertiti: la forza di certi sentimenti non sempre è ponderabile, sembra avere in sé la potenza di spiriti maligni, imprevedibili e doppi nelle loro intenzioni. E dunque non resta che lasciarsi travolgere dal vento-Deledda, attraverso metafore e similitudini che spesso attingono dal mondo naturale (animale, in particolare) e aspettare il finale con la stessa avvincente ansia che coglie la protagonista al suono del violino.
GMGhioni
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