La chimica della bellezza
di Piersandro Pallavicini
Feltrinelli, settembre 2016
pp. 260
€ 17 (cartaceo)
Il professore è un mestiere di assoluta importanza, tante volte bellissimo, altre volte gramo. Avere o non avere avuto un professore di una data materia bravo e capace può condizionare, è bene sempre ricordarselo, la vita delle persone. Da questo piccolo ma grande concetto muove La chimica della bellezza, edito da Feltrinelli, il nuovo libro di Piersandro Pallavicini, guarda caso docente all'Università degli Studi di Pavia, dove conduce apprezzate ricerche in Nanochimica Inorganica.
Pallavicini, con uno stile a metà tra un noir di provincia di quelli fatti bene e curati nei minimi dettagli e il diario intimo di un prof un po' sui generis, ci racconta, sostanzialmente, di quanto la chimica, "la più odiata e la meno capita delle materie della Scuola Superiore", sia fondante e fondamentale nella vita, sia quella scientifica, ovviamente, ma anche in quella di tutti i giorni.
La chimica della bellezza è un inno alla imperfetta perfezione degli elementi che regolano le nostre esistenze.
Protagonista della storia è Massimo Galbiati, professore di Chimica di un'Università di Provincia italiana non meglio identificata (ma sicuramente lombarda) che, per uno strano caso della sorte, si trova a dover accompagnare, per un misterioso quanto affascinante convegno scientifico sul lago di Locarno, il decano dei docenti della Facoltà, ovvero Virginio de Raitner, 104 anni di pura "diabolica intelligenza" in un corpo decrepito e delicatissimo come solo un uomo arrivato alla sua veneranda età può avere. Il vegliardo docente è accompagnato dal suo fido bassotto Pirloux, adorabile protagonista di innumerevoli gag all'interno del romanzo.
La narrazione del romanzo inizia proprio con questa strana coppia durante il viaggio verso il Lago Maggiore. E lo stile di Pallavicini, sin da subito, è guizzante, ironico, pieno di citazioni buffe: se dovessimo dare retta agli stereotipi, è uno stile totalmente alieno dal quadretto ideale del prof. di chimica, curvo e gobbo verso le sue provette e i suoi esperimenti. Ecco, proprio l'abbattimento dei pregiudizi, l'andare oltre la nomea comune o, se si preferisce, l'analisi più o meno scientifica delle situazioni per quello che sono, appaiono uno dei tratti identitari, degli elementi costitutivi di questo libro.
Man mano che il romanzo prosegue si fanno la conoscenza con altre figure molto particolari di scienziati, come Guillaume Chaluer, istrionico scienziato francese esatto contraltare del de Raitner: tanto aristocratico, contorto ed ombroso è il decano, quanto è solare, alla mano e pop il collega transalpino.
Nell'universo chiuso e un po' amorevolmente fané di un convegno scientifico allestito in un albergo svizzero "vista lago", Pallavicini si muove abilmente, descrivendo fatti, situazioni e circostanze sempre "in punta di penna", con grazia ed eleganza. Questi professori sono molto più simili al Philip Brainard (interpretato da Robin Williams), protagonista di Flubber, film Disney del 1997: solo un po' meno con la testa sulle nuvole e che si sanno vestire decisamente meglio
La chimica della bellezza, oltre a scorrere in maniera fluente ed appassionare il lettore, che vuole capire i perché dei tanti misteri che aleggiano attorno alla figura di de Raitner (perché in nessuna rivista scientifica viene citato il suo nome? per quale motivo non apre mai la porta del suo laboratorio in facoltà? chiamerà solo per amor della burla sua moglie "la mia mummia?) e i motivi dell'esclusivo conclave di menti scientifiche, è un libro particolare perché si sforza, e va detto subito ci riesce a meraviglia, a fare anche della didattica.
Infatti partendo dal presupposto, espresso da Galbiati che "il disamore verso una materia meravigliosa come la chimica è dovuto al fatto di avere avuto terribili professori al liceo che o non la sapevano spiegare o non la conoscevano", Pallavicini, senza forzature ma sempre con gesti lenti e misurati, da chimico più che da scrittore, inserisce qua e là lungo la narrazione degli episodi di vita di chimica, di chimici importanti e famosi, dei memorabilia insomma, che servono per rendere questa branchia del sapere tanto oscura, così a portata di mano, attraente e, per così dire, pop. Ecco come Pallavicini, alias Galbiati, "smonta" il pregiudizio della atavica noiosità dei chimici:
Saremmo tetri, noiosi, insensibili al fascino del lusso e incapaci di goderci la vita. Che mi dite allora della Jaguar E-Type che sto guidando verso Locarno? Nera, Serie I, anno 1966, litri 4,2, FHC, cioè Fixed Head Coupé. Identica a quella di Diabolik, per chi conosce il genere. Non è mia, ma il proprietario, de Raitner - il professor Virginio de Raitner - è un chimico pure lui (...) Eppure ha una Jaguar E-Type nel garage del Dipartimento. A che gli serve? Al piacere estetico, immagino
Ecco, il granitico consesso dei professori di chimica duri e puri si sbriciola. E con gli episodi memorabili della vita e della ricerca dei grandi scienziati nella storia, anche questo mondo non pare così immeritevole di essere esplorato. Certo, forse qualche lettore particolarmente amante delle lettere, potrebbe trovare, tra le righe, una certa critica al mondo umanistico, descritto come un po' troppo sordo al cosmo grande della scienza: "Ci sono molti più chimici appassionati di libri, musica, teatro e fumetti di quanti letterati che si dilettano anche solo a leggere di scienza", questo, in soldoni, il "postulato-Galbiati". E bisogna dire che tale critica colpisce abbastanza nel tenero l'esclusivo club degli umanisti.
Ma se state credendo che La chimica della bellezza sia un libro squisitamente scientifico, di divulgazione o giù di lì, vi state sbagliando di grosso. Infatti quest'opera è una specie di ode all'umanità delle nostre vite, vite che, non per forza, debbono essere eccezionali come quelle dei grandi uomini della chimica ma che, anche nella loro "particolare normalità", possono trovare stimoli, affetti e ideali fortissimi. Una delle pagine più riuscite dell'intero libro è, senza dubbio, una delle ultime dove il protagonista, mentre passeggia con la moglie Annina, scorge la figlia, l'amatissima figlia Valentina, vicino al lago.
Stringo la mano di Annina, smetto un attimo di ammirare insieme a lei il mosaico di ville e alberghi locarnesi affacciati sul Verbano, mi giro verso Valentina e scopro mia figlia dentro uno di quegli istanti id grazia che solo le ragazzine possono incontrare. Controsole, circonfusa di luce sullo sfondo del lago, sta seduta su di un panchetto dove tiene appoggiata una scarpa, la gamba ripiegata, il ginocchio stretto in un abbraccio, l'altra mano a reggere un libro aperto in grembo. Indossa un parka, gli anfibi neri, i jeans. Ha il naso all'insù, i capelli che sfiorano la base del collo, gli occhi che brillano sotto le sopracciglia scure. È la bellezza che germoglia, è il rock'n'roll. È Orgoglio e Pregiudizio, Cime Tempestose e anche Kill Bill. Che il del tutto immaginario dio degli scienziati mi venga in soccorso e allenti questa stretta intorno al cuore.
Questo è forse il, non pare esserci parola più adatta, nucleo più intimo del romanzo. Un romanzo che parla di uomini, donne e animali, di elementi della tavola periodica, di alberghi anni Settanta e laghi immoti, della differenza di entropia tra la Svizzera e l'Italia (la Svizzera vi si oppone pervicacemente, l'Italia vi si abbandona) di invidie, piccole/grandi ripicche personali e amore, tantissimo amore verso il sapere, la conoscenza e verso i propri cari. Anche i chimici hanno un cuore che batte esattamente come il nostro: solo che loro, alcuni di loro, paiono sapere la formula segreta della felicità, dell'eccezionale felicità di una vita normale e noi, almeno la stragrande maggioranza di noi, no.
Forse leggendo questo libro ci appassioneremo in questa ricerca.
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