di Ahmet Altan
edizioni E/O, 2017
Traduzione italiana di Silvia Castoldi
pp. 62
€ 2.99
Vostro Onore,il misero surrogato di atto d’accusa presentato contro di me, privo non solo di intelligenza ma anche di rispetto per la legge, è troppo debole per sostenere il peso immenso della sentenza di ergastolo con applicazione delle relative aggravanti richiesta dal pubblico ministero, e non merita una difesa seria.
Inizia così
questo testo di Ahmet Altan, scrittore turco arrestato nel settembre
2016 in seguito al fallito colpo di stato del 15 luglio, quando una
parte delle forze armate del Paese ha provato a rovesciare il
presidente Erdoğan (ne parla anche Neppure il silenzio è più
tuo, recensito su questo sito da
David Valentini).
Quello redatto
dal pubblico ministero è un documento pieno di imprecisioni: si dice
ad esempio che Altan avrebbe sostenuto il "complotto" di
Gezi Park coi suoi articoli su Taraf, quando all'epoca dei fatti
aveva già lasciato il giornale. Ma lo scrittore non si limita a
evidenziare le falsità, rivendica (a prescindere dall'esistenza o
meno di quegli articoli) il suo sostegno al movimento di protesta e
confermando il suo giudizio su altri episodi della storia turca.
Tutto questo cosa c'entra con l'accusa di essere un cospiratore? È
evidente che si stanno processando le idee.
A parte qualche mio articolo e un’unica apparizione in tv, l’imputazione di “golpismo” nei nostri riguardi si basa sulla seguente asserzione: si ritiene che noi conoscessimo gli uomini accusati di conoscere gli uomini accusati di essere a capo del colpo di stato.
Tra le
motivazioni addotte per richiedere l'ergastolo viene insinuato che il
giornalista abbia scritto editoriali contro l'Akp (il partito di
Erdoğan) sobillato da qualcuno. È una tecnica standard usata da
regimi e complottisti per screditare l'avversario: le critiche non
sono mai in buona fede, sotto ci deve essere sempre disonestà o una
forza esterna che perturba la coesione sociale. No, risponde Altan:
sono trent'anni che lui esprime le sue idee e la sua linea politica,
immutata, non è pilotata da altri ma dettata dalla sua coscienza. Il
pubblico ministero è così abituato a stuprare la legge che il suo
atto d'accusa, argomenta l'autore, si è trasformato in una sorta di
pornografia del diritto.
Leggiamo che in
una trasmissione televisiva Altan ha denunciato aspramente Erdogan.
Ancora una volta, vediamo all'opera il classico meccanismo dei
totalitarismi: criticare il governo significa minare l'ordine
costituito, essere terroristi, meritare il carcere.
Scagionandosi da
accuse vaghe e mai sostenute da prove, lo scrittore ripercorre alcuni
momenti del recente passato turco, ricordando ad esempio in cosa è
consistito il caso Balyoz (la preparazione si un colpo di Stato
militare nel 2003) che Altan ha seguito da cronista. A parere di
Altan, quindi, quello che è diventata la Turchia oggi, coi palazzi
di giustizia trasformati in “mattatoi del diritto”, arriva da
lontano, almeno dai tempi della tutela militare.
Secondo lo
scrittore, la crescente povertà alimenterà il malcontento che
determinerà il crollo del governo.
Non c’è bisogno di un colpo di stato per scacciarlo. Sono le sue politiche a prepararne l’allontanamento. È come in una storiella di Nasreddin Hodja. Lo vedi tagliare con le sue scelte politiche il ramo su cui sta seduto. Lo dici. Il pubblico ministero esclama: «Come fai a saperlo? Sei un golpista!». Erdoğan perderà il potere non per un colpo di stato ma per via della situazione economica.
Nella logica
assurda della repressione giudiziaria, ammonire il governo sul
pericolo di ingraziarsi i militari dando loro potere e quindi aprendo
loro la possibilità di un golpe significa sostenere il colpo di
stato!
Solo perché ho affermato che l'AKP perderà il potere il pubblico ministero pretende per noi una condanna a tre ergastoli e l'applicazione delle relative aggravanti.Tre ergastoli non mi bastano. Perciò lo ripeterò di nuovo, così la sentenza salirà a sei: «L'AKP perderà il potere. E finirà sotto processo».
Sarebbe forse
stato utile includere nel libro l'atto d'accusa: probabilmente si
tratta di una lettura pesante, ma avrebbe permesso di avere contezza
del documento originale di cui si discute. Non c'è motivo di
dubitare delle parole di Altan, ma un'edizione critica del suo testo
(che prevedesse magari un'analisi della situazione turca, affrontata
in maniera meno personale, utile soprattutto ai lettori stranieri)
sarebbe stata ancora più esaustiva. La sua assenza è probabilmente
giustificata dall'urgenza con cui la voce di Altan doveva essere
fatta sentire, e ciò è totalmente condivisibile.
Nelle parole
dello scrittore turco non si trovano riflessioni generali che esulano
dal suo caso specifico, se non una difesa della libertà di stampa e
del lavoro del giornalista, cane da guardia della società, che non
ha paura di finire in prigione per aver detto la verità. È comunque
evidente che il meccanismo che ha imprigionato Altan può essere
letto come esempio di una dinamica molto comune in quest'epoca di
terrorismo diffuso, non solo nei regimi oppressivi: l'uso di eventi
che minacciano la società (in questo caso un fallito colpo di stato)
come scusa per un giro di vite sulle libertà e sui diritti civili.
Nicola CampostoriMa io so che il domani sta arrivando; arriva sempre.
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