La scelta del buio
di Piergiorgio Pulixi
Edizioni e/o, 2017
pp. 188
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Tratto distintivo del noir contemporaneo è una forte caratterizzazione geografica, anche quando questa è travestita dietro nomi di fantasia, come nel caso di Andrea Camilleri. La caratterizzazione non passa solo dai luoghi, ma anche dalla lingua: la parlata di investigatori e criminali è infarcita di frasi idiomatiche, imprecazioni e chiacchiericcio nella lingua locale; o nelle lingue locali, quando un romanzo si svolge, per esempio, a Milano, ma il commissario è di Bologna. A volte su queste basi si creano felici contrasti, come il caso di Rocco Schiavone, un romano de Roma in servizio ad Aosta. Ma, si badi, Manzini è abile nel tirar fuori il suo Rocco dalla città eterna e farlo operare in un luogo neutro dove il suo lato più oscuro possa meglio essere analizzato. Spesso si è teso nell’ultimo decennio a dare alla geografia una prominenza forse eccessiva a discapito di quello che è il vero nucleo del noir: il male, il lato oscuro della nostra società e dell’essere umano. Conta di più che un noir sia mediterraneo o che sia nero? Nonostante abbia criticato la definizione geografica di un genere letterario, non mi sottraggo alle mie responsabilità: spesso ho scelto di scrivere di un testo e non di un altro perché affascinato dalla sua geografia.
La scelta del buio di Piergiorgio Pulixi esce dai canoni del noir contemporaneo. Ne esce perché l’atmosfera che pervade il romanzo è quella di un Blade Runner o un Gattaca: una città asettica, senza riferimenti (neanche il nome di una via, un piatto tipico o riferimenti al tempo atmosferico) e con i personaggi che parlano un italiano corrente, non infarcito di localismi che li caratterizzino. Una nicchia spazio temporale che potrebbe essere la questura sotto casa di qualsiasi lettore. Un interspazio narrativo in cui chiunque può identificarsi. La bolla creata da Pulixi ha un effetto devastante sul lettore che non ha appigli, né distrazioni dal male, dal buio, dall’ombra e dell’oscurità. Non vi sono strade, angoli, scorci che possano dare un momento di sollievo, un sospiro caldo in un freddo polare di sensazioni e umori. Non vi è una ricetta, una battuta, un momento di leggerezza che regali un boccata d'aria fresca. È solo buio. È solo male, dolore, morte.
L’angoscia e l’inquietudine del commissario Vito Strega pervadono l’intera narrazione; il dolore e il modo neutro in cui Pulixi lo descrive è talmente forte da rimanere appiccicato alle vesti di chi legge in un processo di immedesimazione quasi osmotico. E pensare che l’autore non si addentra in descrizioni macabre, non si sofferma su dettagli scandalosi: l’arte e la maestria di Pulixi risiede esattamente in una scrittura ossessivamente pulita di ogni forma di sentimentalismo. Fa più male ciò che rimane nel calamaio dello scrittore e il lettore immagina, che non quello che realmente mette nero su bianco. Tuttavia, invece di apparire fredda e distaccata, la prosa di Pulixi accoglie il lettore e gli lascia la libertà di immaginare, di provare sensazioni e sentimenti contrastanti. Dalla paura allo schifo, dalla tenerezza alla felicità.
Vito Strega è un commissario ostracizzato nella sua sezione, la 3, la Omicidi, perché tutti pensano abbia ammazzato il suo partner, Jacopo, e sia riuscito a farla franca. L’ostracismo esalta l’invidia dei superiori di Strega nei confronti di un sottoposto laureato in criminologia, autore del manuale che utilizzano come testo base nei corsi di profiling del Ministero e dotato di un intuito fuori dal comune. Intuito che lo porterà a risolvere un caso di omicidio che era iniziato come un semplice suicidio di un collega della sua stessa sezione. Un’indagine complessa, che muove da un dubbio che come un tarlo inizia a raschiare nella mente del commissario. Sciogliere il dubbio richiede pazienza e un lavoro meticoloso, oltre che abilità nel muoversi tra le maglie procedurali della giustizia italiana in un ambiente ostile. In questa sfumatura Pulixi dimostra di saper dare la giusta dose di burocrazia, senza appesantire il racconto e, anzi, piegando la realtà procedurale alle esigenze narrative. Vito Strega, pur tra mille difficoltà, scoperchierà un vaso di Pandora, fino a un’amara verità penale e personale. Una verità che potrebbe rispedirlo nel baratro, ma che in realtà lo attacca ancora di più al suo lavoro di guardiano e investigatore dell’ombra.
La scelta del buio è il secondo romanzo con protagonista Vito Strega, il secondo “canto del male”. Una serie, questa, che si prevede in tredici episodi e che ha come ambizioso obiettivo quello di vivisezionare il lato oscuro dell’essere umano. Quasi una commedia contemporanea, in cui Vito Strega fa la parte di Virgilio e Pulixi quella di Dante. Un viaggio che si districa nel solo inferno e in cui la guida del poeta è un commissario psicologo, dai tratti quasi filosofici, che si immedesima nella vittima e dal punto di vista della vittima guarda l’omicidio. Un metodo pericoloso che obbliga Strega a navigare nel buio della mente umana, a capire la relazione vittima/assassino, a inseguire un ideale di giustizia e verità che va ben oltre le responsabilità penali. In questo viaggio tutto il nostro vivere viene sezionato dalla penna di Pulixi costringendo noi lettori a dar di naso con le nostre stesse incongruenze, con il nostro lato oscuro, perché ognuno di noi ha, dentro di sé, ombre dentro le quali non vuole addentrarsi e che soffoca.
La serie Strega ci apre le porte al buio che c’è dentro ognuno di noi. È l’essenza stessa del noir.
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