di Andrea Köhler
add editore, 2017
126 pp.
€ 14,00
Leggere
questo brevissimo saggio mentre ci si sposta per Roma con i mezzi pubblici
rende lampante l'idea di fondo che vi è dietro: che passiamo tantissimo tempo ad aspettare. Come fa notare l'autrice, infatti, che si stia aspettando
qualcosa che deve finire o che deve iniziare, l'attesa è quel periodo di tempo
che esiste solo in funzione di qualcosa da venire. Di per sé non sembra avere senso alcuno se non in quanto periodo di transizione (spesso fastidioso) verso un obiettivo. L'attesa è noiosa, snervante, insomma un elemento negativo delle nostre vite.
Ciò che l'autrice vuole comunicarci è che, in
questo nostro mondo fatto di calendari, di orologi, di appuntamenti e di tempo che conta solo in relazione al denaro, l'attesa non trova ragion d'essere né ha dignità alcuna.
È proprio su
questa dignità che invece insiste la Köhler, la quale porta avanti la
propria tesi attraverso due modalità.
In primo
luogo, in maniera metanarrativa, affrontando il tema stesso in un saggio che,
andando dal filosofico al letterario, sorvola (a volte con troppa rapidità) autori e "luoghi" che in passato si sono cimentati con
l'attesa. Solo per citarne alcuni, troviamo Nietzsche, Heidegger, Baudelaire e,
soprattutto, Kafka e il suo Processo.
In secondo
luogo prova a restituire dignità all'attesa quale momento da sfruttare e
riempire di significato, rifacendosi a quell'otium latino che
tanto si contrapponeva al nec otium, ossia all'attività lavorativa vissuta dai romani come un dovere, in contrapposizione al piacere
intellettuale del potersi dedicare a ciò che veramente dava senso alle cose. È
proprio negli interstizi fra un evento e l'altro, nelle attese fra qualcosa che è
terminato e qualcosa che sta per cominciare, quindi, che possiamo inserire ciò
che di più personale abbiamo. È un punto su cui soffermarsi, questo, utile
per ragionare riguardo a quegli spazi esistenziali che spesso consideriamo vuoti e inutili.
Il saggio di
Andrea Köhler ha dunque un suo perché e fornisce al lettore ottimi spunti,
sebbene sia necessario evidenziare come molto spesso l'autrice sembri passare
da un discorso all'altro (oltre che da un ambito all'altro, mescolando in più
punti filosofia e letteratura) in maniera a tratti caotica e di non sempre
semplice comprensione. Per usare un'immagine che si ricollega al mio incipit, la sensazione che ho avuto in alcuni passaggi è stata simile al tentare di conoscere i luoghi più curiosi e nascosti di Roma andando in giro con i bus turistici.
In ogni caso, L'arte dell'attesa è un testo che richiede una buona dose di
pazienza per essere affrontato proprio a causa di questo (almeno apparente)
disordine.
Ma anche
questa pazienza, dopo tutto, è un'arte da imparare.
David Valentini
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