di Oliver Langmead
Carbonio Editore, 2017
199 pp.
€ 16,50
Dark Star è un libro difficile da affrontare: in estrema sintesi è un noir/poliziesco con un'ambientazione sci-fi e distopica e scritto in versi.
Del primo genere abbiamo il delitto, l'investigazione, le atmosfere cupe e un protagonista ancora coinvolto in un lutto recente che gli ha rovinato l'esistenza. La componente investigativa, bisogna dirlo, non è memorabile, così come non memorabili sono i personaggi che si incontrano lungo la via. Questo avviene a causa di una narrazione totalmente incentrata sul protagonista, la quale è così pervasiva, emotivamente carica e colma di giudizi e opinioni da lasciare poco spazio al resto. Mentre infatti non fatichiamo a empatizzare con Virgil Yorke, un uomo distrutto, tossicodipendente e in cerca di una rivincita sempre di là da venire, ciò che ruota intorno alle altre figure ci appare distante, sfocato o, per restare in tema, avvolto nelle ombre. Sono infatti, gli altri, personaggi abbozzati le cui motivazioni restano di difficile comprensione, anche se ciò non significa che siano stereotipi o caricature; né tantomeno si può affermare che siano bidimensionali: semplicemente, rispetto allo spazio dedicato a Virgil, risultano di poco rilievo. E sebbene questa sia stata una scelta precisa dell'autore (probabilmente per rivelare la claustrofobia emotiva vissuta dal protagonista), la conseguenza diretta è una mancata partecipazione per tutto ciò che riguarda "gli altri".
Passando a ciò che concerne l'ambientazione sci-fi, questo è di certo l'elemento fondante del testo, poiché interessante è l'intuizione che vi è alla base: un pianeta (forse un esopianeta scoperto in un lontano futuro, a giudicare da qualche indizio disseminato lungo la narrazione) che ruota intorno a una stella oscura la quale, dunque, non è in grado di illuminare ma, anzi, getta ombre su tutto il mondo. E questa oscurità è così persistente da far diventare la luce qualcosa di raro e prezioso. Tale estremo valore si manifesta in tre diverse modalità: in primo luogo attraverso la religione, la quale ha come divinità un'entità non ben precisata chiamata "Phos" (dal greco, "luce"); in secondo luogo nella droga principalmente in voga in città, chiamata Prometeo e in grado di illuminare il sangue di chi ne fa uso; in terzo luogo nel sistema di illuminazione, che avviene attraverso tre fonti di energia chiamate "Cuori" e la cui scomparsa lascerebbe l'intero pianeta senza luce. Langmead è stato in grado di creare un'intera ambientazione partendo da un dualismo classico nella letteratura, quello fra luce e oscurità, e ne ha evitato la banalizzazione rendendo la dicotomia qualcosa di fisico nel senso stretto del termine: l'oscurità è ciò di cui è composto il mondo, una sorta di condizione originaria; la luce è ciò di cui gli esseri umani hanno bisogno per sopravvivere, nonostante si siano lentamente abituati a leggere al buio attraverso una specie di Braille e usino delle torce come surrogati della luce solare. Queste intuizioni sono così potenti da lasciare in secondo piano la componente narrativa. Da lettore sono rimasto affascinato dal mondo di Langmead, e anzi avrei voluto saperne di più. Le ultime pagine sono memorabili e in grado di emozionare per il significato esistenziale che rivestono.
Questo secondo elemento è così interessante da oscurare completamente quello che avrebbe dovuto essere il terzo punto di forza di Dark Star, la scrittura in versi. Ci si chiederà perché affermi questa cosa. La risposta è semplice: il testo è godibilissimo anche senza la struttura poetica, la quale anzi rende un po' più difficile la lettura e ne allunga di molto la durata senza tuttavia fornire un plus. A tal proposito, ho voluto cercare qualche passaggio per constatare il livello di traduzione e mi sono imbattuto nella recensione del The Guardian, la quale mi ha illuminato sul fatto che il tipo di verso usato sia il pentametro giambico, usato da autori britannici classici come Shakespeare, Marlowe e Milton. Riporto dunque un esempio di traduzione:
Time to waste, so I escape the city
at one of those seedy establishments
they call ‘Glow Shows’ because they fill the girls
so full of Pro’ it nearly burns their veins.
Per passare il tempo, lascio la città
vado in uno di quei tristi strip
che chiamano i Falò, dove le vene
delle ragazze bruciano, tanto sono piene di Pro.
Per una disamina completa sulla traduzione e sull'eventuale perdita del verso bisognerebbe leggere l'originale insieme alla versione italiana. Questo approfondimento richiederebbe un articolo a parte, tuttavia per il momento, a conclusione della recensione, posso affermare che non era necessario questo elemento sperimentale, in quanto Dark Star è un testo ben strutturato e di notevole impatto. La lingua usata da Langmead non è ancora matura ma, considerando che questo è un romanzo di esordio, salvo grandi cadute di stile potremmo ancora sentir parlare di lui.
David Valentini
Questo secondo elemento è così interessante da oscurare completamente quello che avrebbe dovuto essere il terzo punto di forza di Dark Star, la scrittura in versi. Ci si chiederà perché affermi questa cosa. La risposta è semplice: il testo è godibilissimo anche senza la struttura poetica, la quale anzi rende un po' più difficile la lettura e ne allunga di molto la durata senza tuttavia fornire un plus. A tal proposito, ho voluto cercare qualche passaggio per constatare il livello di traduzione e mi sono imbattuto nella recensione del The Guardian, la quale mi ha illuminato sul fatto che il tipo di verso usato sia il pentametro giambico, usato da autori britannici classici come Shakespeare, Marlowe e Milton. Riporto dunque un esempio di traduzione:
Time to waste, so I escape the city
at one of those seedy establishments
they call ‘Glow Shows’ because they fill the girls
so full of Pro’ it nearly burns their veins.
Per passare il tempo, lascio la città
vado in uno di quei tristi strip
che chiamano i Falò, dove le vene
delle ragazze bruciano, tanto sono piene di Pro.
Per una disamina completa sulla traduzione e sull'eventuale perdita del verso bisognerebbe leggere l'originale insieme alla versione italiana. Questo approfondimento richiederebbe un articolo a parte, tuttavia per il momento, a conclusione della recensione, posso affermare che non era necessario questo elemento sperimentale, in quanto Dark Star è un testo ben strutturato e di notevole impatto. La lingua usata da Langmead non è ancora matura ma, considerando che questo è un romanzo di esordio, salvo grandi cadute di stile potremmo ancora sentir parlare di lui.
David Valentini
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